21 February 2017

Controeditoriale del numero di marzo: Canone porti, una decisione a metà

Per capire quanto la sentenza della Corte Costituzionale inciderà sul costo annuo degli ormeggi, occorre considerare gli elementi che influiscono di più: le imposte....

Controeditoriale del numero di marzo: canone porti, una decisione a metà

Per capire quanto la sentenza della Corte Costituzionale inciderà sul costo annuo degli ormeggi, occorre considerare gli elementi che influiscono di più: le imposte. Fra queste, non c’è solo il canone demaniale, ma anche l’addizionale regionale, essendo una percentuale sul canone, l’IMU, la TARI, la TASI. Per queste imposte sono in corso, da un decennio, una serie di contenziosi tra i concessionari e lo Stato, poiché non si ha un chiaro riferimento normativo e si continua a rimanere nel limbo del contenzioso tributario. In sostanza, il legislatore ha scelto di non scegliere. 
Prendiamo ora in esame solo il canone demaniale delle concessioni marittime. Quest’ultimo è quanto il soggetto, gestore di un porto, deve versare annualmente al Demanio (lo Stato), per l’utilizzo di un’area di proprietà di quest’ultimo. Potremmo, quindi, paragonarlo a un “affitto” che lo Stato percepisce. Fin qui nessun problema. Il problema sorge dalla determinazione dell’importo dovuto.  
Fino al 2006 l’importo era misurato in base all’investimento che il gestore doveva sostenere per la costruzione e manutenzione della struttura. Più ingente era la somma che si investiva e spendeva nel tempo, come ad esempio la costruzione di un porto ex novo, minore era il canone demaniale, e maggiore era la durata della concessione. Meno ingente era la somma che il concessionario doveva investire, perché riceveva una struttura già costruita da altri o dallo Stato, maggiore era l’importo del canone.  
La legge Finanziaria del 2007 ha però stravolto questi parametri, non solo modificando i valori con cui calcolare il canone, ma anche non considerando più le aree concesse dallo Stato (aree scoperte, specchi acquei, ecc.), bensì le opere successivamente realizzate dal concessionario, quali pontili, borghi commerciali, cantieri, banchine ecc., dividendole in opere di facile o di difficile rimozione. Di conseguenza, il canone poteva addirittura decuplicare.
Questo stato di cose ha fatto sì che le società gestrici dei porti prendessero due strade diverse. Da un lato, quelle “più avvedute” hanno scelto di accantonare le somme derivanti dalla differenza fra il canone così come stabilito nella concessione e il nuovo importo fissato dalla Finanziaria per il 2007. Dall’altro, le Società “meno virtuose” non hanno accantonato queste somme, proponendo posti barca a costi più bassi in attesa delle sentenze dei contenziosi, ma che adesso si troveranno forse a dover pagare, retroattivamente dal 2006, ingenti somme. 
In entrambi i casi, si è generata confusione sul reale importo da versare e come effetto si hanno strutture portuali non competitive rispetto a quelle di paesi come Francia, Croazia, Grecia.
È in questo contesto che la Corte Costituzionale, chiamata ad esprimersi per la seconda volta in merito alla legittimità della norma sull’aumento retroattivo dei canoni, ha dichiarato, infondata la questione di illegittimità costituzionale, con ciò sancendo la piena compatibilità della norma censurata. Quindi la norma è valida e va applicata. Per tale sentenza tutte le strutture dovranno corrispondere il canone ricalcolato secondo i principi della nuova legge del 2007, ossia con importo adeguato ai valori di mercato.  
La questione, tuttavia, non si esaurisce qui. Partendo dal principio che l’adeguamento del canone concessorio a valori di mercato è pienamente costituzionale, la Corte ha aperto però la strada a un’applicazione mitigata dei rapporti concessori in corso, soprattutto di quelli che hanno in programma investimenti da realizzare e, quindi, che devono sostenere un maggiore impatto economico.  In ragione di tale interpretazione, per le concessioni che prevedono la realizzazione d’infrastrutture da parte del concessionario, il pagamento riguarda solo l’utilizzo del suolo (es. specchi acquei) e non anche dei manufatti costruiti dallo stesso, sui quali insiste la proprietà superficiaria dei concessionari e lo Stato non vanta alcun diritto di proprietà sino alla scadenza della concessione e del possesso degli stessi.
La sentenza, ha spinto il Governo ad affrontare il quadro normativo, attraverso l’impegno entro sei mesi di revisionare la normativa. Sarà fondamentale, a questo punto, separare le decisioni sulle concessioni demaniali di infrastrutture portuali strategiche per il Paese, rispetto a quelle balneari. Così come sarà altrettanto importante affrontare non solo i problemi del canone, ma anche decidere in merito a IMU, TARI, TASI, ecc.. Va considerata la questione nel suo complesso, ossia occorre valutare che la somma del dovuto potrebbe superare il 40% dei costi incidenti sul posto barca.   
In questo momento di ripresa del settore è imprescindibile per gli operatori avere delle certezze, qualunque esse siano, al fine di poter dare stabilità al mercato dei posti barca e risultare competitivi nel Mediterraneo.
 
 
di Matteo Italo Ratti
a. d. di Marina Cala de’ Medici e presidente della Sezione Cantieristica e Nautica di Confindustria Livorno Massa Carrara
 
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