06 September 2018

Fabio Planamente, con il cuore nel Pardo

Cantiere Del Pardo chiude l'anno nautico in pieno sviluppo e oltre le più rosee previsioni. Al timone Fabio Planamente, che ci racconta la metamorfosi del cantiere, le nuove linee a vela e a motore dopo il debutto del Pardo 43. E qualche anticipazione sull'attesissimo Grand Soleil 48 Race in carbonio
Se Fabio Planamente non fosse diventato direttore generale del Cantiere Del Pardo, avrebbe potuto fare l’alpinista, tante sono state le “cime” conquistate nel corso della sua carriera: direttore vendite del concessionario Buenaonda (importatore Jeanneau), export manager del brand Grand Soleil e oggi al timone dello storico Cantiere Del Pardo di proprietà della famiglia Trevisani e fautore della rinascita del marchio che, dallo scorso anno, si è aperto al mondo del motore con la nuova linea Pardo.

Per incontrarlo siamo andati a Forlì in cantiere, dove tutto nasce. Nei capannoni si lavora a pieno regime, le barche escono una dopo l’altra per le consegne, il timing è rigoroso gli armatori vogliono la loro barca per le vacanze.

Del Pardo negli ultimi cinque anni è stato protagonista di una crescita vigorosa. Nel 2016 e nel 2017 il fatturato è salito di oltre il 20 per cento annuo raggiungendo nel 2017 i 21.500.000 di euro con una previsione per il 2018 di 32.500.000 di euro. Ci conferma la previsione?
«Sì, posso confermare i dati e anticiparvi il lancio del Pardo 50 che presenteremo ai prossimi saloni autunnali, un modello per il quale c'è grande attesa e che seguirà il successo del 43. Inoltre nel 2019 abbiamo in previsione il Pardo 38 che completerà la gamma».

Il successo del cantiere è anche legato all'aver intercettato le nuove richieste degli armatori?
«Se analizziamo i numeri degli ultimi cinque anni posso dire che il cantiere gode di buona salute anche grazie al lancio della gamma Long Cruise. Il primo è stato il 46 LC, il secondo il 52 LC e il prossimo anno presenteremo il 42 LC , una barca più piccola per navigare in coppia o con pochi amici, senza faticare molto con le caratteristiche e il comfort tipici della linea LC. A oggi abbiamo venduto 42 unità del 46 LC e se pensiamo che sono oggetti che costano tra i 450.000 e 500.00 euro, il risultato è più che positivo. Avevamo già "fiutato" il cambiamento in atto quando siamo ripartiti con il nuovo investitore (la famiglia Trevisani possiede il 32,73 per cento del Gruppo Trevi e tra i vari asset posseduti c’è anche Cantiere del Pardo acquistato nel 2013 n.d.r.) iniziando appunto con questa nuova produzione di imbarcazioni. Le esigenze della clientela stavano cambiando, gli armatori volevano sempre più ritrovare nella barca la loro casa con tutti i comfort tipici delle barche a motore. Così con uno sforzo progettuale notevole siamo riusciti a tradurre questa necessità a bordo delle barche a vela. Ecco quindi grandi e ariose cabine di poppa con altezze importanti dove dormire comodamente e poi aria condizionata, generatori, elica di prua e di poppa, frigoriferi e tanti spazi».

E a livello di easy sailing come è migliorata la vita del velista?
«Semplificare la vita anche a livello delle manovre era tra gli obiettivi. L’easy sailing serve perché anche se non sei un velista esperto puoi gestire una barca di 46’ o 52’ con tutte le manovre rinviate in pozzetto, winch elettrici, autoviranti etc. L’armatore è sempre più maturo, anagraficamente parlando, e quindi con l'aumento dell’età aumentano le esigenze di comfort. Se pensiamo al settore dell’automotive, perché la Porsche ha progettato la Panamera? Semplicemente per un cliente non più giovane che su un Carrera non è più a suo agio. È un po’ la stessa operazione che abbiamo sviluppato per i clienti dei nostri Grand Soleil che amano le performance, ma con un occhio alla comodità. E con i Long Cruise siamo convinti di aver fatto centro».

Diceva che il cantiere è in salute grazie soprattutto all’apporto del motore. La vela è in declino?
«Spero di no, purtroppo i dati di mercato sono stazionari o leggermente in flessione. Oggi c’è una grande richiesta di catamarani, che però non potrà continuare all'infinito e nei prossimi anni assisteremo a un affollamento sul mercato. Chi sopravviverà? Chi ha il brand più forte e strutturato».

Visto che siamo ancora in una fase espansiva del mercato dei multiscafi, ci può dire se questo segmento vi ha rubato qualche cliente?
«Se devo essere sincero uno sì. Un armatore di un Grand Soleil 43 che quest’anno ha preferito passare a un cat perché la moglie non ne voleva più sapere della vela... Ma si è trattato di un caso sporadico, i nostri clienti sono veri appassionati e difficilmente si fanno sedurre dalle lusinghe dei multi: malgrado l’abitabilità e il grande comfort il piacere della vela non appartiene a questo genere di imbarcazioni, per non dimenticare la scarsità di ormeggi in quasi tutto il Mediterraneo. Tornando alla flessione della vela, sono convinto che il declino sia legato a un profondo cambiamento sociologico. Se analizziamo le nuove generazioni, i giovani dai 30 ai 40 anni hanno meno il senso di proprietà e più del possesso, mi riferisco alla formula del boat sharing, circoscritta però a barche fino a 12 - 13 metri. Mentre un prodotto Del Pardo sarà sempre prerogativa di una nicchia di mercato esigente e sofisticata che vuole un oggetto per navigare esclusivo e unico».

Il futuro della vela

Quindi quale sarà il futuro della vela?
«Alcuni produttori francesi di imbarcazioni a vela e a motore intorno ai 12/13 metri si stanno già attrezzando per soddisfare questo cambio generazionale, come avviene nel mondo dell’auto con il noleggio a lungo termine. Mentre per prodotti più di nicchia, destinati a una fascia di età più alta, il discorso è diverso. Non ci aspettiamo, comunque, un aumento di volumi e proprio perché consapevoli di queste trasformazioni ci siamo avventurati nel mondo del motore, che rappresenta a livello globale il 90 per cento della produzione».

Quanta vela c’è nel Pardo?
«Molta, a livello di design sia all’esterno sia all’interno. Il cliente quando sale a bordo percepisce subito un ambiente marino privo di ostacoli, caldo, accogliente, di classe con legni ben lavorati, tipico dei Grand Soleil. Quindi altissima qualità, linee senza eccessi, forzature e pochi colori».

Come vede la crisi del colosso tedesco Bavaria, in odore di fallimento?
«Conoscendo il sistema, facevamo parte dello stesso gruppo (nel 2011 Cantiere Del Pardo era stato acquistato dal gruppo Bavaria n.d.r.), penso che voler applicare certe teorie, tipiche di altri mondi come quello dell’automotive, a quello della nautica sia stato il principio della fine. Non tutto funziona per forza con le stesse dinamiche».

È stato questo l’errore fatale del gruppo tedesco?
«Non solo. Bavaria aveva una precisa collocazione nel mercato con una clientela fidelizzata a un certo stile e a un certo prezzo. Si è passati da esercizi di design molto particolari (nel 2009 lo studio Bmw Designworks aveva progettato per Bavaria il Deep Blue 46, un cruiser di lusso) che di fatto hanno disorientato e disperso l’utente. Riposizionare il prodotto su una fascia diversa (aumentando anche i prezzi) è un passaggio delicato che richiede molta preparazione. Inoltre il processo di produzione non è più stato in grado di adattarsi a tempi più lunghi e gli equilibri sono saltati. È un peccato».

​Trump e i dazi. Quali scenari prevede?
«Tra le 1.300 voci inserite nei dazi imposti dagli americani ci sono anche le imbarcazioni da diporto e quindi la situazione è preoccupante soprattutto per quei cantieri che dipendono in larga parte dalle esportazioni verso gli USA. Anche se si tratta di prodotti che si rivolgono a una fascia molto abbiente, pagare il 25 per cento in più disturba sempre. Per fortuna non è il nostro caso».

Nel nostro Paese la vela è cresciuta. I cantieri che la rappresentano sono nomi alla ribalta: Mylius, Ice Yachts, Italia Yachts, Advanced Italia Yachts... L’impressione è che gli italiani si siano ritagliati uno spazio su misura all’insegna dell’eccellenza. Possiamo sbilanciarci e dire che la differenza con la produzione francese e tedesca si basi solo sui volumi e se sì quali sono i freni rispetto alla produzione di grande serie?
«Credo che un cantiere come il nostro non sia in grado di fare concorrenza a un’azienda francese. I transalpini sono grandi, hanno un forte potere di acquisto e una filosofia di prodotto lontana dalla nostra, per non parlare dei prezzi. La nostra forza e il nostro successo si basano sull'innovazione, sulla qualità, sul design e su un prezzo calibrato. Il made in Italy, inoltre, ha sempre una valenza fortissima e in quasi tutti i cantieri stranieri c’è un po’ di Italia nello loro barche».

Pensa che ci sia ancora margine per crescere e contrastare lo strapotere francese e tedesco?
«Sì, se ci ritagliamo delle nicchie che non vadano in concorrenza con la loro produzione».
Perché nel passato la vela non ha saputo fare il salto industriale che invece è avvenuto all’estero?
«Come processo industriale i francesi sono maestri e il divario è incolmabile. Gli italiani hanno sempre pensato a prodotti di nicchia piuttosto che di massa e questa è la nostra forza. Infine c'è anche un approccio sociologico diverso nei riguardi del settore».

IL ruolo di Ucina per lo sviluppo della vela

Lei è anche il riferimento per la vela in Ucina. Qual è il ruolo dell’associazione per attirare nuove generazioni di velisti?
«La vela è importante per Ucina, al salone occupa la parte centrale dell'esposizione. Certo, numericamente parlando rispetto al motore è rappresentata da pochi. Negli anni della crisi però ha contribuito a mantenere l’appeal del Nautico e il peso all’interno dell’associazione è aumentato. Ucina Confindustria Nautica sta collaborando con la FIV, ha attivato alcuni progetti interessanti per coinvolgere le scuole volti a stimolare la passione tra i più piccoli. Credo che le nuove generazioni dovranno far passare molti anni prima di permettersi l’acquisto di una barca e questo sarà il vero freno allo sviluppo. Ecco perché il boat sharing e il noleggio prenderanno sempre più piede».

Possiamo dire che la crisi sia alle spalle?
«No, non ancora. Siamo tutti un po’ più ottimisti, ma nel mondo ci sono ancora troppi cantieri che chiudono e troppi player per le dimensioni del mercato. Le aziende sono tornate a fatturati pre crisi, ma se guardiamo i numeri, i volumi si sono dimezzati se non di meno. Sono aumentate le unità più grandi il cui valore è maggiore e questo, in parte, sta compensando il fatturato. Se pensiamo che un cantiere come Bavaria prima della crisi costruiva 3.500 barche all’anno e oggi 450 questo ci dà l’idea del gap che si è creato. Bénéteau e Jeanneau “sfornavano” oltre 5.000 barche a vela, oggi forse arrivano, insieme, a mille unità. Quindi occorre essere prudenti, non farsi prendere da falsi entusiasmi e per quel che ci riguarda più da vicino rimanere su una dimensione tale che ci consenta di costruire sempre barche di grande qualità e curate in ogni minimo dettaglio».
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