Quindi quale sarà il futuro della vela?
«Alcuni produttori francesi di imbarcazioni a vela e a motore intorno ai 12/13 metri si stanno già attrezzando per soddisfare questo cambio generazionale, come avviene nel mondo dell’auto con il noleggio a lungo termine. Mentre per prodotti più di nicchia, destinati a una fascia di età più alta, il discorso è diverso. Non ci aspettiamo, comunque, un aumento di volumi e proprio perché consapevoli di queste trasformazioni ci siamo avventurati nel mondo del motore, che rappresenta a livello globale il 90 per cento della produzione».
Quanta vela c’è nel Pardo?
«Molta, a livello di design sia all’esterno sia all’interno. Il cliente quando sale a bordo percepisce subito un ambiente marino privo di ostacoli, caldo, accogliente, di classe con legni ben lavorati, tipico dei Grand Soleil. Quindi altissima qualità, linee senza eccessi, forzature e pochi colori».
Come vede la crisi del colosso tedesco Bavaria, in odore di fallimento?
«Conoscendo il sistema, facevamo parte dello stesso gruppo (nel 2011 Cantiere Del Pardo era stato acquistato dal gruppo Bavaria n.d.r.), penso che voler applicare certe teorie, tipiche di altri mondi come quello dell’automotive, a quello della nautica sia stato il principio della fine. Non tutto funziona per forza con le stesse dinamiche».
È stato questo l’errore fatale del gruppo tedesco?
«Non solo. Bavaria aveva una precisa collocazione nel mercato con una clientela fidelizzata a un certo stile e a un certo prezzo. Si è passati da esercizi di design molto particolari (nel 2009 lo studio Bmw Designworks aveva progettato per Bavaria il Deep Blue 46, un cruiser di lusso) che di fatto hanno disorientato e disperso l’utente. Riposizionare il prodotto su una fascia diversa (aumentando anche i prezzi) è un passaggio delicato che richiede molta preparazione. Inoltre il processo di produzione non è più stato in grado di adattarsi a tempi più lunghi e gli equilibri sono saltati. È un peccato».
Trump e i dazi. Quali scenari prevede?
«Tra le 1.300 voci inserite nei dazi imposti dagli americani ci sono anche le imbarcazioni da diporto e quindi la situazione è preoccupante soprattutto per quei cantieri che dipendono in larga parte dalle esportazioni verso gli USA. Anche se si tratta di prodotti che si rivolgono a una fascia molto abbiente, pagare il 25 per cento in più disturba sempre. Per fortuna non è il nostro caso».
Nel nostro Paese la vela è cresciuta. I cantieri che la rappresentano sono nomi alla ribalta: Mylius, Ice Yachts, Italia Yachts, Advanced Italia Yachts... L’impressione è che gli italiani si siano ritagliati uno spazio su misura all’insegna dell’eccellenza. Possiamo sbilanciarci e dire che la differenza con la produzione francese e tedesca si basi solo sui volumi e se sì quali sono i freni rispetto alla produzione di grande serie?
«Credo che un cantiere come il nostro non sia in grado di fare concorrenza a un’azienda francese. I transalpini sono grandi, hanno un forte potere di acquisto e una filosofia di prodotto lontana dalla nostra, per non parlare dei prezzi. La nostra forza e il nostro successo si basano sull'innovazione, sulla qualità, sul design e su un prezzo calibrato. Il made in Italy, inoltre, ha sempre una valenza fortissima e in quasi tutti i cantieri stranieri c’è un po’ di Italia nello loro barche».
Pensa che ci sia ancora margine per crescere e contrastare lo strapotere francese e tedesco?
«Sì, se ci ritagliamo delle nicchie che non vadano in concorrenza con la loro produzione».
Perché nel passato la vela non ha saputo fare il salto industriale che invece è avvenuto all’estero?
«Come processo industriale i francesi sono maestri e il divario è incolmabile. Gli italiani hanno sempre pensato a prodotti di nicchia piuttosto che di massa e questa è la nostra forza. Infine c'è anche un approccio sociologico diverso nei riguardi del settore».