28 February 2013

Intervista a Lorenzo Isalberti di Ingemar

Ingemar progetta e realizza pontili galleggianti e arredi per approdi turistici in tutto il mondo. Alla base del lavoro qualità e flessibilità. Una storia di imprenditoria che nasce dalla passione per il maredel suo presidente al timone della società dal 1979...

Intervista a lorenzo isalberti di ingemar

Gli ormeggi ai saloni nautici di Genova e Venezia, i porti turistici di Locarno in Svizzera, Hammamet in Tunisia, Msida a Malta, Gouvià a Corfù e Novigrad in Croazia. A questi si aggiungono le attrezzature speciali per i campi di gara delle Olimpiadi di Atene 2004, le strutture di accosto dei mezzi navali della Guardia Costiera kuwaitiana, l’attraversamento galleggiante sul Canale della Giudecca a Venezia e i pontili galleggianti per la tappa veneziana della Coppa America 2012.
Sono solo alcuni esempi della lunga lista e della diversificazione di interventi di Ingemar, una delle realtà specializzate più affermate in Italia e all’estero. La società è infatti in grado di sviluppare in modo autonomo e con soluzioni articolate e complesse i diversi temi collegati al settore delle strutture galleggianti e dei loro ormeggi.
Alla base competenza, rispetto dell’ambiente e un grande amore per il mare. Lo stesso che ha consentito la nascita e la crescente espansione della società, come ci spiega il suo presidente Lorenzo Isalberti.

Come nasce Ingemar?
«La società è nata nel 1979 dalla mia passione per il mare e dalla voglia di coniugare dovere e piacere, oltre che dalla determinazione a voler essere protagonisti nello sviluppo della nautica in Italia. Da diportista, l’auspicio era proprio di contribuire alla crescita dei porti turistici e degli approdi. Ingemar è conosciuta soprattutto in questo settore che, a seconda degli anni, significa un contributo che varia dal 60% al 70% in termini di fatturato complessivo. Per il resto operiamo nel comparto industriale e dei servizi, fornendo, ad esempio, ponti e piattaforme galleggianti per usi espositivi, sedi nautiche o ristoranti».

Quali sono i vostri clienti principali?
«Lavoriamo normalmente per porti in costruzione, porti commerciali in parte adibiti alla nautica da diporto, strutture lungo fiumi o laghi. I nostri committenti sono quindi gli investitori costruttori, ma anche associazioni sportive, leghe navali, circoli, cantieri, amministrazioni pubbliche, autorità portuali, Coni».

Quali sono le qualifiche necessarie per partecipare alle gare pubbliche in Italia e all’estero?
«Per un impiego pubblico, le nostre opere rientrano nelle richieste degli appaltatori, che prevedono di possedere una certificazione S.O.A. (obbligatoria per gli appalti pubblici n.d.r.) suddivisa in varie categorie in funzione della tipologia costruttiva. Noi rientriamo nella voce generica di opere marittime, con una classifica abbastanza elevata che ci consente di effettuare lavori sino a quindici milioni di euro. Esistono poi altre certificazioni, come quella di qualità, vedi la ISO 9001, che possono essere date da enti terzi e questo vale soprattutto per le opere realizzate fuori Italia. Ciò che è singolare è che mentre all’estero otteniamo dai vari enti la certificazione dei nostri prodotti standard, da noi, per una questione piuttosto cavillosa non abbiamo una certificazione di serie. Il progetto della singola struttura deve quindi essere, di volta in volta, validato».

Esistono differenze tra le realizzazioni studiate per litorali marini e lacuali?
«Da un punto di vista strutturale direi di no. Gli elementi utilizzati sono sostanzialmente gli stessi. Ciò che influisce sono le aree caratterizzate da sensibili dislivelli di marea, situazione che nel nostro Paese si verifica solo in alto Adriatico e nei laghi. Queste circostanze non comportano differenze sul fronte strutturale e costruttivo, ma obbligano ad utilizzare sistemi particolari di ancoraggio al fondo, che consentano il grado massimo di libertà nel piano verticale».

Quali limiti di applicazione hanno i pontili galleggianti in relazione alle dimensioni delle imbarcazioni?
«L’impostazione degli elementi prefabbricati, e quindi prodotti in serie, tiene conto delle condizioni medie d’impiego. Ogni produttore ha 3 o 4 tipologie di pontili con differenti caratteristiche di resistenza. È chiaro che quando saliamo oltre i 20 metri di lunghezza forniamo strutture specifiche. Abbiamo ad esempio realizzato opere ad hoc per yacht di cinquanta metri, rimorchiatori e navi militari. È proprio nei casi delle realizzazioni su misura che Ingemar ottiene i migliori risultati in termini di soddisfazione professionale ed economica».

Quali sono i pro e i conto dei moli galleggianti rispetto alle opere fisse?
«Quando parliamo di strutture galleggianti ci riferiamo di norma a opere prefabbricate e realizzate da aziende specializzate. Questo comporta costanza qualitativa, elementi modulari che possono adattarsi a esigenze future diverse, flessibilità intrinseca all’opera galleggiante. Sono anche opere dal costo sostanzialmente certo in fase di preventivo in quanto calcolato sulla base delle condizioni di installazione, date dal fondale e dal dislivello di marea. Rispetto alle opere tradizionali, sono quindi strumenti più snelli, normalmente più economici, riposizionabili e con un impatto ambientale inferiore».

Rispetto agli altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, come si colloca l’Italia quanto a funzionalità e avanguardia dei porti turistici?
«Se ci riferiamo al rapporto numero posti barca per abitante o numero porti turistici per metro lineare di costa, siamo decisamente indietro rispetto ai nostri vicini di Francia, Spagna, ma anche Croazia. Da un punto di vista della qualità, bisogna riconoscere che in Italia c’è sempre stata. Siamo molto più cautelativi. Un porto nazionale è ben distinguibile da un porto francese: nel primo è previsto che vi siano una serie di servizi, come posti auto, magari coperti, capannoni e aree di varo tecnico che presuppongono opere di difesa piuttosto incombenti, anche perché dimensionate su base di eventi meteomarini anche gravosi. I francesi hanno un approccio diverso: preferiscono affrontare i danni quando questi si dovessero verificare e iniziare intanto a realizzare i porti, utilizzando protezioni meno impattanti, più larghe che alte sul mare. Visivamente il porto francese risulta più gradevole, quello italiano più sicuro, forse più funzionale, ma da un punto di vista dell’impatto abbiamo ancora molta strada da fare».

Quale sensibilità ambientale dimostrano le strutture italiane esistenti?
«Nei porti si è cercato di fare molto anche se spesso in Italia o non si fa niente o si cerca di strafare. Quindi la nostra valutazione di impatto ambientale, cui tra l’altro sono soggette tutte le opere, è qualche cosa che tecnicamente è fin troppo complesso, arrivando a procurare lungaggini e l’approfondimento di problematiche non così importanti. La sensazione è che ci sia troppa confusione, data da norme troppo severe e comunque genericamente mai rispettate».

Quali sono le difficoltà di studio e fattibilità più comunemente incontrate?
«Il reperimento di dati, quali le condizioni meteomarine o dei fondali, che consentono di effettuare una progettazione. Queste condizioni sono molto difficili da rilevare, ma è proprio su questi aspetti che le gare d’appalto estere insistono, premiando particolarmente la fase progettuale. La nostra maggiore attenzione si focalizza pertanto sulle condizioni di sicurezza e di impiego dell’opera».

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