Juan Kouyoumdjian: dalla Coppa alla Volvo, dagli AC 75 ai "vecchi" AC50

Coppa America, Volvo Ocean Race e molto altro in questa bella intervista al progettista argentino Juan Kouyoumdjian
Con tre vittorie della Volvo Ocean Race, sei partecipazioni alla Coppa America, nove record di velocità in oceano, sette titoli mondiali e molto molto altro, il progettista argentino Juan Kouyoumdjian è uno dei più titolati al mondo. Lo abbiamo intervistato subito dopo l'annuncio della nuova barca di Coppa che stenta a definire "monoscafo". Ecco quello che ci ha raccontato

È contento del ritorno ai monoscafi in Coppa America?
«Personalmente non credo ci sia alcun ritorno ai monoscafi, gli AC75 difficilmente possono essere definiti monoscafi, si tratta solo di una fusoliera in mezzo a una coppia di foil. Se la questione sul tavolo era continuare a volare, allora sarebbe stato molto meglio continuare con una versione più moderna degli AC50 visti a Bermuda nell’ultima edizione della Coppa. I team avrebbero avuto più esperienza, ci sarebbero state circa dieci barche disponibili e pronte a navigare, quindi sarebbe stato molto meglio continuare con quelle barche, anche perché quando voli lunghezza e taglia non contano molto. La seconda parte della risposta è che nel contesto di un ritorno dei cosiddetti monoscafi, penso che la proposta di Emirates Team New Zealand e Luna Rossa sia geniale e molto intelligente, ci sono tante idee interessanti e concetti dietro, quindi credo sia geniale ma ripeto se l’obiettivo era volare allora sarebbe stato meglio farlo con gli AC50».

Le piace la formula one design?
«Generalmente non mi piace la formula one design per la vela, qualsiasi formula collegata al one design credo sia sbagliata nel contesto di regate o eventi high tech come la Volvo Ocean Race o la Coppa America. Credo comunque che avere qualche componente one design sia intelligente, sarebbe sciocco farli sviluppare ai singoli team con spese enormi per poi arrivare a soluzioni simili, parlo soprattutto di parti che contribuiscono poco alle performance: impianti e soluzioni energetiche, come quelle che potrebbero muovere i foil dei futuri AC75. In questo caso mi sembra intelligente avere un progetto one design sviluppato insieme a tutti i team. Ma quando si parla delle caratteristiche fondamentali della barca, come foil, vele, l’albero, la forma dello scafo, tutti questi elementi devono essere open, anche perché non è nella tradizione e nella storia di un evento come la Coppa imporre il one design in quelle aree di progettazione. Spesso si usa questo argomento per ridurre i costi, ma non è affatto vero, guarda ad esempio cosa è successo con gli AC50 a Bermuda: le barche avevano diversi elementi uguali per tutti come le wing sail, le traverse tra gli scafi, la piattaforma, le vele di prua e nonostante questo avevano team di progettazione composti da 35/40 persone, circa lo stesso numero, se non maggiore, che avevano i team nelle passate edizioni con i monoscafi. Il one design ha dimostrato di non essere in grado di ridurre i costi, ma anzi, li aumenta».

Ha senso ridurre i costi in Coppa America?
«L’America’s Cup è un match tra due team, quando parli di Coppa America non hai bisogno di più di due team, da questo punto di vista i costi non hanno mai avuto nulla a che fare con la Coppa. Quando invece provi invece a creare un evento intorno alla Coppa, tipo la Louis Vuitton Cup e ora la Prada Cup allora i costi iniziano ad avere importanza e bisogna provare a ridurli o a tenerli sotto controllo. Nella Coppa, e di solito c’è poca differenza tra i vari team, il costo degli stipendi del personale tocca il 60 per cento, ma molto spesso anche il 70 o 75 per cento del costo totale di una campagna. Quindi cercare di ridurre i costi imponendo parti one design o criteri che hanno impatto solo sul 20 o 25 per cento del budget totale mi sembra un modo poco efficace per farlo. Se parliamo di riduzione di costi bisogna farlo in modo efficace, ed è legato direttamente alla quantità di persone impiegate nel team che coinvolge il 70 per cento del budget totale. Quando parliamo di ridurre i costi dovrebbe mirare a questo, non solo a tirar fuori un albero o una batteria one design».

Tornando agli AC 75 secondo lei vedremo ancora le ali rigida o si tornerà a una vela più tradizionale?
«Credo che anche loro ancora non lo sappiano bene e si stanno facendo la stessa domanda. Credo che la wing sail sia uno sviluppo formidabile e dia un grande vantaggio, ma la mia opinione è che questo vantaggio per barche tipo gli AC50 non sia grande abbastanza da giustificare tutta la complessità e gli incubi logistici relativi alla sua gestione, dall’altra parte dobbiamo tenere in mente che una delle più grandi responsabilità che abbiamo in Coppa è sviluppare idee e soluzione che poi confluiscono nelle imbarcazioni di grande serie. Ma la wing sail non arriverà mai alle barche normali proprio a causa delle enormi complessità di gestione. Quando metti insieme questi fattori puoi solo concludere che l’idea – sto soltanto provando a leggere nella mente di Emirates Team New Zealand e Luna Rossa – è far saltare fuori qualcosa che sia efficiente e non troppo costoso e che possa essere maneggiata in modo semplice senza incubi logistici e che nel giro di qualche anno possa passare alla produzione di serie. La conclusione di questo ragionamento non è una wing sail, piuttosto un albero alare e una vela issabile, non so bene, forse sarà una soluzione ibrida a metà tra le due».
Si è chiesto cosa potrebbe succedere in caso di scuffia?
«Credo avrà la capacità di raddrizzarsi da sola, o almeno dovrebbe avere un limite di stabilità positiva alto abbastanza da aiutare un equipaggio molto preparato ad evitare il rischio di scuffia ed essere meno suscettibile a questo tipo di incidente rispetto ai catamarani. Credo sia ovvio dire che queste barche saranno portate da equipaggi professionali con le capacità di evitare questi rischi, da un punto di vista della sicurezza non sono quindi molto preoccupato dalle possibilità di scuffie di queste barche o dai danni conseguenti a una scuffia. Sono invece più preoccupato da un punto di vista della sicurezza: bisogna considerare il pericolo di un match race ravvicinato con barche che hanno questi grandi foil con parti di metallo che escono fuori dai lati delle barche, il rischio di contatto o incidente è elevato ed è un aspetto da tenere in considerazione».

Secondo lei vedremo più team di quanti hanno preso parte alle regate a Bermuda?
«Vorrei dire di si, ma non credo. Di sicuro ne vedremo più di quelli che ci sono al momento, sappiamo ancora pochi dettagli sulla prossima edizione e tante domande a cui rispondere».

Per anni c’è stata la Louis Vuitton Cup, ora sarà la volta della Prada Cup, un grande cambio. Cosa ne pensa?
«Entrambe le aziende sono nel business del lusso e della moda, Louis Vuitton è stata coinvolta a lungo nell’organizzazione della Coppa, e anche Prada con Luna Rossa è stata coinvolta nella vela in generale e nella Coppa in particolare fin dalla fine degli anni ’90 e Patrizio Bertelli è al top di questo sport da molti anni. Entrambe le aziende hanno dimostrato molta passione e sono coinvolte ad alto livello nel nostro sport, se mi chiedi oggi se Prada è un buono sponsor per la vela ad alto livello la risposta non può che essere affermativa e non solo per il coinvolgimento di Bertelli stesso, che ha dimostrato di cosa è capace di fare nel mondo della vela, ma anche perché il brand Prada è molto forte e impegnato nella vela e se fai una lista delle migliori aziende o sponsor per la vela Prada è sicuramente nella short list».

Volvo Ocean Race e Vendée Globe sono i due principali giri del mondo, che differenze vede?
«Oggi vedo più il Vendée come principale. Sono stato un po’ parte della storia della Volvo Ocean Race e ne sono uscito nel 2012, quindi ora non posso dire cose pertinenti su cosa sia diventata ma credo che la formula one design non abbia affatto aiutato la VOR, in particolare se paragoni a come il Vendée e la classe Imoca hanno gestito il loro giro, quindi spero correggano gli errori e tornino verso qualcosa di più attraente per sponsor e team chiave dell’evento. Se dopo aver scelto le barche one design oggi la VOR fosse in piena salute con tanti team e sponsor come nel passato allora direi “ok non sono d’accordo ma funziona e hanno dimostrato di avere ragione” ma oggi non ci sono più team che in passato».

Come vede l’evoluzione della classe Imoca?
«Gli Imoca 60 sono una classe open in cui qualche anno fa sono stati introdotti alcuni elementi one design, come la chiglia e l’albero. Nonostante il disegno dello scafo sia libero, queste due condizioni influenzano molto il design dello scafo anche se alla fine lo spettro di innovazione che un progetto può portare è molto ampio, quindi credo che l’evoluzione del foiling, e bada bene che non ho detto flying – sono due cose molto diverse – continuerà ancora a lungo. Quindi credo che nelle prossime barche vedremo i risultati di questa evoluzione».

Ha parlato di flying e di foiling. Ci spiega la differenza?
«Foiling è l’arte dell’utilizzo della velocità intorno ai foil per avere vantaggi sulle performance e questo è stato fatto per anni, anche nell’era dei Vor70. Quando lo scafo smette di toccare l’acqua si passa al volo, ma per volare devi prima andare con i foil. E quando voli il tuo scafo diventa ridondante, potresti anche farne a meno, mentre quando fai foiling dipendi sempre da uno scafo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Le ultime prove