04 August 2016

Nuvole verdi a Bora Bora

Claudio Regini, Augusta Marzioli e la loro bimba di tre anni hanno mollato i comodi ormeggi adriatici per girare il mondo con un Bavaria 38 del 2000. Dopo la partecipazione all’Arc hanno navigato nel Mar dei Caraibi, traversato il canale di Panama, arrivati alla Galapagos e poi a Bora Bora

Nuvole verdi a bora bora

Il vento fischia tra le sartie e fa ronzare il generatore eolico come se fosse il rotore di un elicottero in partenza. Noi siamo ben ridossati dalla laguna di Bora Bora (Oceano Pacifico) e dall'isola stessa, impossibile che si  alzi il mare in questo ancoraggio. Inoltre il fondale è di quella sabbia consistente che fa prendere sempre l'àncora, anche se il vento girasse di 180° ogni trenta minuti e se al posto della Delta avessi una palla da bowling. Sdraiato in cuccetta qualcosa tra la temperatura dell'aria, il rumore del vento e i movimenti della barca mi ricordano l'infanzia passata tra le baie croate. Eppure non ne sono mai stato così distante, e non è stato facile conquistare questo splendido ancoraggio.

 

Il primo ancoraggio pacifico è quello delle Galapagos; si può scegliere solo tra due baie, una più rollante dell'altra. La burocrazia e le tasse elevatissime rendono ancora più fastidioso l'ancoraggio. L'acqua risente della corrente di Humboldt ed è quindi bella fresca, rivelandosi habitat naturale per leoni marini, iguane e pinguini che diventano protagonisti indiscussi di qualsiasi tuffo.

 

Lasciate le Galapagos in scia, l'acqua e l'aria si riscaldano gradualmente per ognuna delle tremila miglia che le separano dalla Marchesi. Questo arcipelago si fa perdonare i ridossi non proprio eccellenti con l'accoglienza che gli abitanti riservano ai velisti. La burocrazia praticamente inesistente e le isole dai paesaggi maestosi, quasi apocalittici, ci ricompensano della lunga traversata. Ogni tanto è necessario cambiare baia, a seconda delle previsioni meteo. A terra si fanno bellissime escursioni, attraversando paesaggi alpini che sfociano su terrazze sopraelevate da cui si gode di una vista fantastica.

 

La rotta classica prevede che la tappa seguente sia l'arcipelago delle Tuamotu, i primi atolli che incontro in Pacifico. Una barriera corallina che circonda una laguna, senza nessuna terra in mezzo. Alcuni di questi atolli sono immensi, tanto da vanificare in caso di vento forte la protezione del reef dalle onde. Ma altri sono totalmente ridossati e dopo tre mesi provo nuovamente la piacevole sensazione di una barca perfettamente immobile all'ancora. L'accesso alla laguna rappresenta sempre una piccola sfida. È necessario accedere tramite una passe tra la barriera che può essere poco profonda, costellata di coralli, stretta, interessata da forti correnti e con onde frangenti al suo esterno. Insomma ogni volta un brivido freddo e una manciata di capelli bianchi in più. Ma una volta dentro sembra di essere in un lago, e ancora una volta l'accoglienza degli isolani è calorosa, veramente interessati alla storia di ogni passante. Si sente molto, come nelle Marchesi, la sensazione di essere lontani da tutto; qua è molto meglio non avere nessun genere di problema.

 

Finalmente arrivo alle Isole della Società, che si stagliano da lontano sull'orizzonte grazie alla loro considerevole altezza. Queste sembrano un mix perfetto tra i due precedenti arcipelaghi, conservandone solo gli aspetti positivi. Isole dall'aspetto selvaggio e fiero sono circondate dalla barriera corallina che regala ancoraggi protetti con ogni tempo. L'accesso alla laguna si effettua tramite passe larghe, profonde, ben segnalate e prive di tutte le complicazioni delle Tuamotu. Papeete, capitale politica e culturale di tutta la Polinesia francese, non sembra così lontana dalla civiltà, offrendo (si fa per dire, visti i prezzi scandalosi) tutti i servizi indispensabili ai navigatori dopo mesi di oceano. Ma ancora non sono soddisfatto al cento per cento, c'è sempre quella nota stonata negli ancoraggi che non mi fa smettere di cercare quello perfetto. Può essere il fondale troppo alto, alcuni reef nelle vicinanze, l'acqua torbida portata da un fiume o il posto troppo affollato.

 

Navigando verso Bora Bora, una delle ultime isole a Nord Ovest in Polinesia francese, si nota che per un fenomeno di riflessione dei raggi solari sulla laguna, la base delle nubi che passano sopra l'isola ha una sfumatura verde. Eppure sono scettico, in molti mi han parlato di Bora Bora come di un rifugio per coppie in luna di miele, le cui rive sono costellate di lussuosi resort che tengono imprigionato il turista tra i vizi. Ma una volta dentro la laguna mi devo ricredere. Il fondale di sabbia di circa sei metri si vede perfettamente, a malapena filtrato da un mare cristallino. L'ancoraggio si estende a perdita d'occhio privo di pericoli nascosti, c'è posto per tutte le barche che uno vuole. Mi faccio crescere le branchie a forza di stare in acqua e non riesco a smettere di nuotare con razze, mante e squaletti che abbondano in laguna. I resort tanto bistrattati fanno da piacevole sfondo al paesaggio, conferendogli la classica aria da cartolina a cui siamo abituati e che per questo aneliamo. Insomma, ecco un posto dove potrei passare due mesi senza mai scendere a terra. Ma il tarlo del perfezionismo mi rode dentro, ed ecco che, cercando bene, trovo le uniche due pecche dell'ancoraggio: non ci sono molti pesci a cui sparare e manca un'onda per surfare. Certo, rispetto ai problemi quotidiani direi che questi sono veramente di poco conto, ne sono consapevole. Ma qualcuno lo dovrà pur scovare l'ancoraggio perfetto, se non altro per farsi invidiare da chi resta a casa. E allora che male c'è a partire nuovamente verso ovest, in questo sconfinato Pacifico, girovagando tra i vari arcipelaghi alla ricerca di questo insignificante trofeo?

 

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