15 July 2008

Poche luci, molte ombre

Ma se cado in acqua, di notte, dopo quanto tempo divento “invisibile”? Quando scompaio alla vista di chi è ancora a bordo della mia barca? Servono le boette, quelle obbligatorie, da tenere sul pulpito di poppa insieme a cima galleggiante e salvagente? Esistono altri strumenti più utili, più intelligenti, da utilizzare anche se non imposti dalla legge? Siamo andati a scoprirlo, nelle acque davanti a Marina di Ravenna, con l’Altair Jeanneau 52.2 di Vela e Motore. Il ...

Introduzione

Ma se cado in acqua, di notte, dopo quanto tempo divento “invisibile”? Quando scompaio alla vista di chi è ancora a bordo della mia barca? Servono le boette, quelle obbligatorie, da tenere sul pulpito di poppa insieme a cima galleggiante e salvagente? Esistono altri strumenti più utili, più intelligenti, da utilizzare anche se non imposti dalla legge? Siamo andati a scoprirlo, nelle acque davanti a Marina di Ravenna, con l’Altair Jeanneau 52.2 di Vela e Motore. Il test si è svolto in maniera molto semplice: abbiamo prima “abbandonato” due “provisti” su un gommone ancorato a circa mezzo miglio della costa, con l’Altair ci siamo poi lentamente allontanati verso il largo, lasciando alle spalle dei due naufraghi una striscia di costa completamente buia. A varie distanze abbiamo rilevato la visibilità delle boette luminose e di altre luci di sicurezza studiate apposta per la nautica, attivate alternativamente. Per rilevare esattamente la distanza che separava le due barche abbiamo attivato il pulsante MOB (Man Overboard) sul Gps di bordo dell’Altair, (ovviamente in corrispondenza del punto dove si era ancorato il gommone) e in questo modo abbiamo memorizzato l’ipotetico punto “dell’uomo a mare”. Un’idea nata non solo per facilitare la conduzione del nostro test ma anche per verificare l’utilità di questo dispositivo che, come avremo modo di raccontarvi meglio dopo, è sicuramente indispensabile per garantire la sicurezza di chi va per mare. Abbiamo deciso di testare l’efficacia di strumenti “normali” cioè dal costo ragionevole, facili da reperire sul mercato, semplici da installare e utilizzare. In altre parole quello che ci può ragionevolmente aspettare che un normale diportisti prima acquisti e poi utilizzi. Sottolineiamo subito che il nostro test non voleva essere una gara tra marchi ma semplicemente l’analisi del funzionamento di diverse tipologie di prodotti: all’interno della vasta offerta del mercato ne abbiamo scelti alcuni rappresentativi. Punto di riferimento era ovviamente le boetta luminosa, obbligatoria per chiunque navighi ad oltre tre miglia dalla costa. Sono luci ad attivazione automatica, quando lanciate in mare e ribaltate si accendono da sole. Abbiamo utilizzato tre modelli della Trem, unica ad avere in catalogo oltre alla versione a luce fissa (omologata CE secondo la normativa 96/98 CE e 98/85 CE) anche quelle lampeggiante e stroboscopica. Per quanto riguarda le dotazioni di bordo abbiamo poi verificato anche la visibilità di due diversi tipi di aste Ior gonfiabili (una inglese della Ocean Safety, e due, tra loro molto simili di Plastimo e Osculati), mentre come strumenti di sicurezza personale (quindi da tenere addosso e non sulla barca) abbiamo provato due torce a mano stroboscopiche (sempre Plastimo e Osculati), i “mini razzi” della Miniflare e la luce ad attivazione automatica per giubbotti salvagente autogonfiabili della Aquaspec.

Misure

Misure La notte del nostro test c’erano una luna crescente quasi piena, mare poco mosso (con 40/50 cm d’onda), 10/12 nodi di vento che garantivano una discreta visibilità. La temperatura dell’acqua era di 10° C. Allo sguardo di chi era in piedi nel pozzetto dell’Altair il gommone (di circa 5 metri) a luci spente è scomparso a 200/220 metri di distanza. Vista la temperatura dell’acqua ci è stato impossibile prendere le misure con un vero uomo a mare, ma questa è comunque una prima misura di riferimento e si può (ottimisticamente) pensare che la testa di un naufrago, nelle nostre più che favorevoli condizioni, sia visibile fino a circa 100 metri. Nel nostro progressivo allontanarci dal gommone abbiamo rilevato che fino a 500/600 metri tutte le luci erano ancora visibili in maniera accettabile, utile per individuare realmente l’uomo a mare. Da li in poi i rendimenti cominciano a peggiorare decisamente. A 800 metri la boetta lampeggiante è già quasi impercettibile. I suoi periodi di eclissi si sommano a quelli creati dalle onde che la fanno scomparire alla vista di chi è in barca. Leggermente meglio quella strobo, discreta quella a luce continua. Una bella sorpresa è stata l’Aquaspec, piccola lucina personale che a 800/900 metri di distanza si distingueva nel buio meglio delle boette omologate. La tenevamo a circa 20 cm dalla superficie dell’acqua, all’altezza a cui sarebbe stata se normalmente installata su un giubbotto di salvataggio e orientata verso la barca. Tra i suoi limiti c’è però la non visibilità per tutti e 360° dell’orizzonte, anche se installata correttamente sulla parte più alta del giubbotto resta comunque parzialmente oscurata dalla testa del naufrago. Il comportamento delle due torce stroboscopiche a mano è molto simile quello della boetta strobo. A 1.300 metri (0.7 miglia) la boetta galleggiante lampeggiante diventava del tutto invisibile, della stroboscopica rilevavamo un lampo ogni 25/30 secondi (in maniera a nostro avviso inutile per il reale recupero dell’uomo a mare, visto che noi in più sapevamo anche esattamente verso dove puntare lo sguardo), e la fissa arrivava ad eclissi di 9/10 secondi, restando quindi efficace ai fini dell’individuazione del naufrago (così come l’ Aquaspec, che confermava un buon rendimento). Anche a questa distanza il comportamento delle due torce stroboscopiche a mano era molto simile a quello della “collega” galleggiante. A 1.600 metri (0,86 miglia) tutte le luci diventano invisibili, si riuscivano solo a intravedere le luci fisse in testa alle aste Ior, anche se con eclissi molto lunghe. Già a 1.800 metri scomparivano anche queste. Si facevano invece vedere, e anche benissimo i razzi Miniflare a mano: lanciati leggermente controvento pigliano una parabola molto alta per una durata di 8 secondi. Noi abbiamo rilevato una loro perfetta visibilità a 2 miglia (e non siamo andati oltre), ma sicuramente, grazie alle loro 3.000 candele, sono visibili anche da molto più lontano (10 miglia secondo il costruttore).

Conclusioni

Conclusioni Nel complesso la visibilità di queste luci si è dimostrata inferiore a quanto ci aspettavamo. Per quanto riguarda le dotazioni di bordo (non personali) le prime considerazioni, più ovvie, ci dicono che tra le boette galleggianti quella obbligatoria a luce fissa è meglio sia di quella lampeggiante che di quella stroboscopica. Quest’ultima decisamente più potente delle 3 candele degli altri due modelli, non è comunque risultata più visibile dalla barca, probabilmente la sua efficacia è più facilmente percettibile dall’alto, in caso di ricerca da parte dell’elicottero. A suo favore comunque la durata, 89 ore contro le 43 della fissa e le 71 della lampeggiante. Anche le aste Ior non hanno dato grandi risultati in termini di pura visibilità, poco più della boetta obbligatoria. Un confronto decisamente poco vantaggioso visto prima di tutto il prezzo (circa 300 euro, a seconda delle marche) e anche il maggior ingombro a bordo. Inoltre non essendo equiparate dalla legge alla boetta obbligatoria dovrebbero essere imbarcate come dotazione accessoria, oltre a questa. Uno scenario poco probabile, visto la scarsa propensione del diportista italiano a spendere per le dotazioni di sicurezza, e anche, alla luce della nostra prova, della loro utilità in termini di visibilità. A favore delle aste Ior va però detto che possono essere molto utili al naufrago, come punto di riferimento e come elemento galleggiante a cui aggrapparsi in attesa di soccorso. L’altezza delle luci gliele le rende più facilmente identificabili anche dal suo poco vantaggioso punto di osservazione. A loro svantaggio ci sono però anche, in caso di vento teso, un notevole scarroccio (nonostante l’ancoretta galleggiante di cui sono dotate) e la loro naturale tendenza ad abbattere e sdraiarsi sottovento (due aspetti, questi ultimi, che non abbiamo potuti provare nel corso della nostra prova ma che sono evidentemente connessi alla natura di questi prodotti). Tra le dotazioni personali i migliori risultati sono venuti dalla lucina Aquaspec (e in commercio esistono molti altri prodotti simili, e tutte le grandi marche hanno in catalogo qualcosa di simile) e dai razzetti Miniflare (e anche qui il mercato offre una notevole possibilità di scelta per prodotti equivalenti). La prima infatti è molto visibile e va utilizzata insieme ai giubbotti salvagente autogonfiabili, per un’accoppiata sicuramente vincente che garantisce, già al momento dell’impatto con l’acqua, visibilità e galleggiabilità. Se in più in tasca si hanno dei razzetti Miniflare (o altri prodotti simili) ci si garantisce anche l’avvistamento da parte della barca anche a lunga distanza. Sarà poi la lucina del salvagente a guidare l’avvicinamento a breve distanza. Le torce stroboscopiche personali, da tenere nelle tasche della cerata, sono un’ utile alternativa a luce da salvagente.

In Pratica

In pratica Facendo due rapidi conti si può dire che una barca a vela che navighi a 6 nodi in circa 7 minuti perde di vista, nelle condizioni meteomarine quasi ideali del nostro test, tutti i dispositivi luminosi che abbiamo provato. Una barca a motore che navighi a 26 nodi ce ne impiega meno di due. Ipotizzando una situazione di mare, vento e visibilità ben peggiori (quelle in cui ci si può aspettare che qualcuno dell’equipaggio cada in mare) i tempi vanno probabilmente più che dimezzati. La morale è ovvia, meglio non cadere in mare. Visto che però questo comunque a volte accade, vediamo cosa abbiamo imparato dal nostro test (ma, sottolineiamo, non vogliamo fare una lezione sul recupero di uomo a mare, che può essere oggetto di altri articoli, ma semplicemente riportare la nostra esperienza pratica). Primo, meglio, visti i tempi medi in cui si perde di vista il naufrago, utilizzare le cinture di salvataggio che tengono sempre l’uomo in contatto con la barca. Secondo, tra le procedure di emergenza fondamentali c’è l’attivazione del MOB, con la semplice pressione di un tasto sul Gps si memorizza la posizione dell’ uomo a mare. Il Gps all’istante ci fornirà in automatico la rotta di avvicinamento e la distanza dal punto. Questo è importante perché già nei primi momenti di confusione dopo la perdita dell’uomo, avremo modo di aver un punto di riferimento da seguire, senza dover fare nessun tipo di calcolo al carteggio, e anche se tutti i dispositivi visivi fossero già diventati “invisibili”. Terzo, visto che la boetta è obbligatoria, meglio usarla al massimo delle sue potenzialità, può diventare un efficace strumento di sicurezza. Quindi scegliete il modello a luce continua, assicuratevi che sia in buono stato (pile cariche, lampadina integra, guarnizione non “cotta”), che la cima galleggiante sia ben colta, che tutto l’insieme (con anche il salvagente) sia facile da gettare in acqua e che non sia assicurato alla barca. Lo stesso vale ovviamente per chi volesse intraprendere la spesa e l’ installazione di un’asta Ior. Qui ovviamente i controlli sono più complessi. Quarto, visto che la pelle è la vostra, dotatevi dei vostri personali strumenti di sicurezza. Dal nostro test emerge che un “trio” vincente è: giubbotto autogonfiabile ad attivazione automatica, la sua lucina (tipo Aquaspec) anche lei ad attivazione manuale più i razzi personali (quelli Miniflare sono un prodotto bello ma un po’ troppo costoso). In questo modo ci si garantiscono galleggiabilità, individuazione dalontano e da vicino. Nell’insieme sono tre strumenti poco ingombranti e ragionevolmente economici. Se in più da bordo attivano il MOB e lanciano prontamente la boetta lampeggiante in acqua, allora qualche speranza “di farcela” c’è. Infine un’idea, perché non rendere riconoscibile con un codice tipico le luci per segnalare l’uomo a mare (quindi con un caratteristico periodo e colore), da non confondere da tutte le altre, prima di tutto quelle dei pescatori? Magari non passerebbero inosservate da tutti, così come è successo durante il nostro test.

Ipotermia

I tempi dell’ipotermia In realtà non si hanno dati del tutto certi. Non è facile sapere con esattezza quali sono i tempi dell’ipotermia, tecnicamente quando il corpo scende sotto i 35°C, due in meno rispetto ai 37°C fisiologici, arrecando i primi seri danni al corpo umano. La banca dati scientifica si basa sull’esperienza di alcuni tragici episodi storici (come l’affondamento di alcuni traghetti di linea nel Nord Europa) e addirittura sui mostruosi esperimenti che i nazisti portarono avanti, utilizzando i prigioneri come cavie, durante la seconda guerra mondiale. La condizione di ipotermia è molto più probabile in acqua che non fuori, per la sua maggiore conducibilità del calore (il corpo si raffredda 25 volte più velocemente in acqua che non in aria). Questi sono i valori base che vengono attualmente considerati come validi: Temp. corp. sintomi 37°C temperatura corporea normale 36/35°C brividi e tremori 35/32°C confusione mentale, amnesia 33°C cessazione tremore, rigidità muscolare, pulsazioni irregolari 31°C semi-incoscienza 30°C incoscienza 28/25°C morte apparente, arresto cardio circolatorio Con l’acqua del mare a 10° C, come nel corso della nostra prova (febbraio a Marina di Ravenna) dopo circa due ore e mezzo si entra nella fascia di “alta probabilità di morte per ipotermia”. A 17/18° C, il tempo sale a 8/9 ore. Nei mari Italiani in agosto di notte ci sono circa 19°C. Le zone più sensibili alla perdita di calore sono: la testa, l’inguine, le ascelle e i lati del torace. Se si cade in mare di notte il giubbotto salvagente è lo strumento che garantisce galleggiabilità e la minor dispersione possibile di calore. Per ottenere i miglior risultati in quest’ottica bisogna assumere la posizione HELP (Heat Escape Lessening Position), quindi il più raggomitolati possibile, con le gambe vicine al torace, le braccia conserte.
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