Dainese, le protezioni che hanno aiutato i kiwi a vincere la Coppa!

Dopo moto e sci, mountain bike, equitazione e lo spazio, l’azienda di Vicenza vince anche nella vela. Vi sveliamo tutti i segreti dello sviluppo dei giubbotti insossati dall'equipaggio di Emirates Team New Zealand durante la Coppa America appena vinta. Ce ne parla Marcello Benicini, Strategic Project Manager di Dainese
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Promuovere e garantire la sicurezza negli sport dinamici è la mission di Dainese, azienda fondata nel 1972 da Lino Dainese dopo un avventuroso viaggio in Vespa fino a Londra. Se oggi andiamo in moto e sciamo con la schiena protetta, è grazie a questo imprenditore, capace negli anni di proteggere non solo i motociclisti in pista o fuori, ma anche sciatori, ciclisti, fantini e perfino astronauti. E se domani i velisti delle discipline più acrobatiche vestiranno qualche forma di protezione diversa da un normale casco, sarà ancora una volta grazie a Dainese, che quest’anno è salita a bordo del cat AC 50 Aotearoa di Emirates Team New Zealand che ha appena vinto la Coppa America contro Oracle Team USA.

Siamo andati nella loro sede di Vicenza e in uno spettacolare showroom abbiamo incontrato Marcello Bencini (foto sotto), responsabile della gestione dei progetti strategici di Dainese. Prima di capire come è stato realizzato il giubbotto dei kiwi, siamo curiosi di capire come è avvenuto il primo contatto tra di loro. «L'idea è stata di Emirates Team New Zealand – spiega Bencini – Con questi cata che volano a oltre 40 nodi i loro velisti hanno capito che la sicurezza è una questione prioritaria. In più, sono anche tutti motociclisti e Max Sirena, (ex skipper di Luna Rossa, n.d.r.) technical advisor del team, conosce il nostro amministratore delegato Cristiano Silei: contattare Dainese è stato naturale».

Impatto, comfort e galleggiamento

Da dove siete partiti per lo sviluppo?
«Quando sono venuti da noi hanno esaminato tutti i nostri prodotti, quelli che più si avvicinavano alle loro esigenze erano i modelli per mountain bike».

Come lo avete adattato alle loro necessità?
«Impatto, comfort e galleggiamento sono i tre aspetti sui quali abbiamo lavorato di più. Nei nostri capi utilizziamo materiali sviluppati al 100 per cento per ridurre i danni da impatto, mentre su questa giacca abbiamo dovuto imparare a risolvere un problema che finora non conoscevamo affatto, la galleggiabilità!»

Quali materiali usate per ridurre gli effetti da impatto?
«Usiamo una gomma nitrilica viscoelastica che assorbe gli urti - per capire meglio il comportamento del materiale porta come esempio una protezione da sci e ci fa notare come, spingendo forte con un dito il materiale si deforma e poi torna lentamente alla forma originale (effetto memoria) –. Se avessimo proposto un paraschiena rigido, come quelli delle moto per intenderci, ci avrebbero presi per matti».

In quali punti avete messo le protezioni?
«Su clavicole e spalle ci sono solo protezioni, su petto e schiena abbiamo messo una stratificazione composta da materiale per la protezione da impatto verso l'esterno e per il galleggiamento verso l’interno. Ne è nato un prodotto interessante, molto più sottile dei capi disponibili oggi e le giacche sono tutte su misura».

Quali sono state le difficoltà maggiori da risolvere?
«Il 90 per cento delle difficoltà che abbiamo incontrato nello sviluppo ha riguardato il comfort e la vestibilità, una questione che vale per tutti gli atleti che abbiamo vestito, non solo per quelli di Emirates Team New Zealand: dieci anni fa nessun pilota voleva indossare l’airbag, venti anni fa nessun sciatore voleva un paraschiena. Oggi lo fanno tutti. Una grossa fetta del lavoro è spingere l'atleta a capire l'oggetto, a volerlo indossare e a non rifiutarlo per principio. Non è stato facile trovare un punto d'incontro con loro tra il massimo della tecnologia per la protezione che noi volevamo offrire e la loro esigenza di vincere e galleggiare».

Cosa ha provato dopo la scuffia dei Kiwi?
«In qualità di responsabile del progetto, ho subito scritto a Blair Tuke (membro dell'equipaggio n.d.r.) per sapere se l’equipaggio stesse bene. Quando ho saputo che, nonostante lo spaventoso incidente, nessuno si era fatto male, ho provato un grosso sollievo».

Oltre ai Kiwi, avete lavorato anche con un'altra barca.
«Sì, c’è un team di altura che parteciperà al Mondiale Orc di Trieste (dal 30 giugno all'8 luglio, n.d.r.) che userà nostri materiali, non si tratta di protezioni, ma partiamo dalla linea di prodotti per bici e sci: giacche termiche, leggere, impermeabili. È un progetto sperimentale per vedere come si comportano i nostri prodotti in mare. Non abbiamo guardato a quello che esiste già nel mercato, ma puramente al bisogno. Nascono così i progetti migliori».

Vedremo quindi linee di prodotti per la vela?
«Siamo partiti senza programmi. Abbiamo però visto che è nato un ottimo prodotto che sta destando molta curiosità e la vela è un mondo in cui vediamo una necessità crescente di sicurezza. Con il foiling e i cat volanti la vela sta diventando uno sport sempre più dinamico e spettacolare e avrà sempre più bisogno di protezione. Noi abbiano tecnologia per proteggere i velisti, non escludiamo che in futuro possa nascere una linea dedicata».
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