Il cantiere Najad nasce come allestitore Hallberg Rassy e in seguito diventa produttore indipendente di imbarcazioni a vela. Fino al 2010 anno in cui i colpi della crisi si fanno sentire in maniera pesante. Oggi, dopo un lungo periodo di difficoltà, il peggio sembrerebbe alle spalle e le prospettive più rosee.
Uno dei difetti che, in banchina, si attribuiscono alla flotta Najad è che sia molto simile agli Hallberg Rassy e, in effetti, le barche si ricordano molto, se non che Najad si distingue per la sua fascia rossa e per la motorizzazione Yanmar.
Il Najad 73 è stato lanciato nel 1999 e prodotto fino al 2005 su disegno di Judel/Vrolijk, partnership che accompagna il cantiere dalla sua fondazione nel 1971.
La carena si presenta voluminosa con forme a calice, moderata immersione a prua con una certa stellatura, timone protetto da un piccolo skeg e zavorra in piombo. Il pescaggio standard è di m 1,90, ma esiste anche la versione da 1,65, poco diffusa.
Il punto di attacco tra la deriva e lo scafo, è obliquo e va controllato nella parte terminale. Curioso che sul lato destro, si trovi un tappo per il drenaggio della sentina. Seppur l’albero non sia passante, per l’invernaggio a terra nei paesi freddi è previsto un sistema di drenaggio della sentina per evitare che si formi ghiaccio e che possa rompere qualche cosa.
Lo specchio di poppa è attrezzato per la discesa e gli slanci sono moderati, mentre il cavallino verso prua è slanciato. Interessante notare che il pulpito è aperto, poiché spesso i nordici ormeggiano di prua, in quanto più comodo e sicuro.
Il gelcoat è di qualità quindi anche se le barche hanno quasi 20 anni, basta una lucidata leggera per farle tornare a splendere. Un accessorio che non manca è l’elica di prua, che riteniamo superflua su queste dimensioni, salvo per chi disponga di un ormeggio scomodo o in spazio ristretto. Molte unità hanno il bompresso in coperta.
Qualche dato di costruzione: lo scafo è in sandwich e le prese a mare in bronzo sono installate su zone dedicate, la sentina è ampia e prevede il ragno strutturale fascettato.
La coperta è quella tipica del pozzetto centrale con una tuga un po’ squadrata e un ampio parabrezza in vetro che protegge l’ingresso. La coperta e la tuga sono rifinite in teak, così come il capodibanda e la falchetta.
Il teak è bello, ma richiede cura e spesso i danni sono fatti da armatori che lo tengono e lo spazzolano nel senso sbagliato, diminuendone la durata ed esponendo le viti da cui si generano infiltrazioni nel composito. Oggi i ponti sono incollati e questo li rende più longevi, anche se comunque i costi di ripristino restano alti, all’incirca non meno di 1.000 euro al metro quadro. Il teak sulla tuga era un’opzione, quindi su diversi modelli in circolazione è in vetroresina.
Le manovre sono all’albero sia per chi ha la randa tradizionale da drizzare, sia per chi ha la randa avvolgibile (opzione più diffusa).
Il rigging è semplice, senza acquartieramenti delle crocette.
A bordo abbiamo notato molti dettagli che ci convincono: a partire dalle grandi bitte, alle sedute integrate nei pulpiti e ai dorade.
La ruota della timoneria è grande, ma senza intralciare il passaggio sulle panche. Uno dei vantaggi del pozzetto centrale è che si può chiudere integralmente e diventare un’anticamera per l’ingresso dove togliersi gli indumenti bagnati o proteggersi meglio dalla pioggia e dal freddo.
Un grande gavone offre un ulteriore accesso alla sala macchine, rimuovendo un doppiofondo e consentendo l’estrazione del serbatoi del gasolio, comunque munito di botole per la pulizia.
Pochi sanno che queste barche sono allestite a coperta montata e pertanto tutto quello che è al suo interno esce dal tambuccio o come sopra dal gavone.