Quando stai per affrontare la 151 Miglia-Trofeo Cetilar, sai già più o meno quali sono le cose principali da fare a seconda del meteo. L’anno scorso, a bordo del Maxi di 82’ Vera di cui ero il tattico, eravamo consapevoli di avere una velocità globale che ci avrebbe consentito - regatando al meglio - di restare agganciati al vento. In caso di errore, anche piccolo, saremmo usciti dal vento e la differenza, alla fine, sarebbero state parecchie ore.
Abbiamo quindi vissuto la partenza come una regata a bastone, ossessionati dal non lasciare sull’acqua neanche un metro, in una gara contro il tempo in cui il principale avversario eravamo noi stessi, un po’ come nei video giochi quando hai la macchina fantasma da inseguire. Il tutto in uno scenario splendido, con tanti Maxi e una flotta incredibile.
Le prime miglia della 151 Miglia sono sempre uno spettacolo, ma non ci si può distrarre, perché un minuto perso in quel frangente, si moltiplica all’infinito nel prosieguo della regata. Il passaggio della boa di Marina di Pisa, poi, è un momento bellissimo, ma molto frenetico.
Una volta passata la boa, prua sulla Giraglia, una tratta che ogni volta fa storia a sé. L’anno scorso l’obiettivo era non approcciarla da lontano con una strambata sola, ma con due per fare meno strada, visto che era prevista una piccola rotazione del vento a sinistra e strambare tardi voleva dire tornare indietro. Quindi abbiamo affrontato il passaggio come se fosse lo stacchetto di un bastone e abbiamo guadagnato molto, senza mai fermarci.
Da lì, è iniziata la discesa verso l’Elba. Ormai è la terza 151 Miglia che affronto e ho capito che l’Elba è come un enorme magnete: per quanto ci vuoi passare lontano, il vento e il mare ti spingono sempre verso di lei. Invece di evitarla e rischiare di passare 50 miglia lontano, meglio farsi attrarre e sfruttare al meglio le raffiche. L’anno scorso c’era un po’ di gradiente dall’isola e un po’ di termica notturna, siamo rimasti sempre con vento ed è andata molto bene, visto che non ci siamo mai fermati.
È chiaro che passare di notte o alle sette del mattino, cambia tutto e in questo noi Maxi siamo avvantaggiati rispetto al resto della flotta. Le barche più piccole sarebbero competitive nella classifica overall in una situazione di gradiente molto forte, ma con un regime di alta pressione, c’è poca speranza di evitare la bonaccia.
Passate le Formiche, arriva l’ultima tratta, mai scontata. Punti lo Sparviero, ti senti tranquillo, ma non è così. Spesso conviene fare una rotta verso terra, una sorta di arco, perché c’è molta più pressione. Si fa più strada, ma più velocemente, con la VMG a salire. È una scelta poco intuitiva - e bisogna essere bravi a capire quando farla - perché ti viene da andare dritto, ma così si rischia di uscire dalla pressione.
Dopo lo Sparviero, emotivamente sai che la regata sta per finire, ma anche nell’ultimo miglio e mezzo, ci sono tantissime trappole. Nel 2018 perdemmo al fotofinish con Pendragon e anche l’anno scorso, pur sapendo che eravamo in vantaggio su Rambler nella classifica con i compensi, a bordo c’era molta tensione, proprio perché sapevamo che poteva succedere di tutto. Anche perché quando siamo passati noi c’era un residuo della termica di terra e ampie zone senza vento.
Appena tagli la linea del traguardo è sempre una sensazione strana. Se mi dicessero, vai, torna sulla partenza e rifalla subito, non esiterei un istante, perché è davvero una regata spettacolare. Mi piace talmente tanto che un giorno spero di poterla fare con una barca d’epoca, un gruppo di amici e una cambusa ben fornita.