di Martino Sacchi - 03 February 2021

Orgoglio italiano: storia del diporto in Italia

Qual è stata la prima barca da diporto italiana? La prima volta in una regata internazionale? Quale imbarcazione da crociera ha attraversato per la prima volta l’Atlantico? Scopriamo insieme le risposte a queste e altre domande sulla nostra storia

«Correva l’anno 1876; il giorno 7 luglio volgeva al suo termine, caldo, infocato; l’aria era calma, il mare tranquillo; sul tardi, profittando degli ultimi raggi del sole e leggermente sospinta dalla brezza vespertina, una bianca vela usciva dal porto di Genova e con destinazione al largo s’allontanava. La stella bianca in campo azzurro sventolava sulla svelta alberatura, ed i colori nazionali erano alzati al picco. Al crepuscolo sottentrò la notte ammantando ogni cosa nelle tenebre, e la bianca vela pur essa poco a poco disparve nell’oscurità».

(dal diario di bordo del Violante)

L’andar per mare, come tutte le attività autentiche e grandi dell’uomo, non ha un vero inizio, un momento che si possa indicare col dito per dire: “Ecco, fin lì non c’era niente e dopo c’è stato qualcosa”. Figuriamoci perciò se si possa indicare con certezza assoluta il nome della prima barca da diporto italiana e del primo yachtsman. Già Alexandre Dumas scriveva nel Conte di Montecristo, che è del 1844: «Nel momento in cui Dantès arrivava a Genova veniva armato un piccolo yacht ordinato da un inglese che, avendo inteso dire i genovesi i migliori costruttori del Mediterraneo, aveva voluto avere uno yacht costruito a Genova».

Come a dire che verso la metà dell’Ottocento la fama dei cantieri italiani era già consolidata e che delle barche scendevano in mare dai loro scali. Però di loro non si sa nulla. Bisogna aspettare ancora molti anni prima che le testimonianze e i ricordi vengano messi nero su bianco, le notizie si consolidino e alla fine vengano consegnate alla storia. Solo a questo punto noi, che veniamo dopo, possiamo dire: “Ecco! È iniziato tutto lì!”

Un’italiana fuori casa

Nel nostro caso la prima barca da diporto italiana di cui ci sia rimasta notizia certa, da considerare il primo “yacht” delle nostre parti, ha il nome di donna, Violante. È un piccolo cutter di un capitano genovese, Enrico Alberto D’Albertis, che l’aveva fatto costruire varare il 23 febbraio del 1875 su disegni di Luigi Oneto presso i cantieri di Agostino Briasco a Sestri Ponente.

La barca era piccola, s’intende, per gli standard dell’epoca, perché in realtà era lunga 13,20 metri e dislocava 12 tonnellate. Ne è rimasta anche una foto, che ce la mostra in porto: scafo nero, niente tuga cavallino abbastanza pronunciato, prua a piombo e lungo bompresso. A poppa, timone a barra e slancio lungo e fine. Dalla posizione degli uomini si capisce che non c’è nessun pozzetto.

Attraverso l’Atlantico

È un’altra barca di D’Albertis a compiere l’impresa, il Corsaro di 50 tonnellate di registro. D’Albertis l’aveva fatto costruire nel 1882 nei cantieri Onedo di Sampierdarena. A bordo l’equipaggio era di otto persone, tra cui lo stesso D’Albertis. Dopo alcuni anni di crociere “normali” (per modo di dire: una volta si va in Egitto, la volta dopo alle Azzorre... ), D’Albertis prepara la grande avventura, in concomitanza con i festeggiamenti per il IV Centenario della scoperta dell’America. Il viaggio d’andata è senza problemi e il Corsaro arriva prima a San Salvador e poi fino a New York dove si unisce alla Squadra Navale della Regia Marina comandata dall’amm. Magnaghi.

Durante il viaggio di ritorno si aggrega alla Divisione Navi Scuola, ma dopo appena un giorno una violentissima tempesta lo costringe a separarsi dalle altre navi. La tempesta dura due settimane ma lo yacht italiano la supera senza danni tornando in patria con i propri mezzi. Le qualità nautiche del Corsaro in effetti sono ottime. Secondo d’Albertis durante un colpo di bora percorre 245 miglia in 24 ore, con punte di 12,25 nodi.

Una vittoria importante

Regate in Italia si fanno probabilmente dalla metà degli anni Cinquanta dell’Ottocento, ma erano regate locali, organizzate un po’ alla buona. Il movimento velistico cresce, come si sa, con la fioritura di numerosi circoli nautici, in primis il Regate Club sul lago di Como (1872), poi lo Yacht Club Italiano (1879), poi gli altri a Roma e a Napoli e più tardi ancora a Trieste (l’Adriaco, nel 1903).

Ma il fulcro della vela italiana resta sempre il nord-ovest del paese, non solo per ragioni economiche, ma anche e soprattutto per ragioni geografiche: dato che spostare le imbarcazioni è molto costoso, i velisti italiani riescono a confrontarsi solo con i francesi della Provenza. È qui che ci si sfida per la Coppa di Francia, messa in palio per barche a vela da 10 tonnellate.

Ed è qui che il duca degli Abruzzi, il rampollo di un ramo laterale della monarchia sabauda, va a vincere il primo trofeo importante della vela italiana con Artica. Artica viene infatti costruito nel 1902 appositamente per sfidare i francesi a casa loro per la conquista della Coppa di Francia. Il nome ricorda la spedizione al Polo Nord, compiuta l’anno prima dal duca.

L’ossatura è in frassino, il fasciame (doppio) in cedro, la coperta è in Quebec pine; la parte centrale è rinforzata con madieri in acciaio nichelato per sopportare gli sforzi della chiglia in piombo. Sotto, il timone è del tutto indipendente dalla chiglia, e questo ne fa un vero finkeel. L’alberatura è studiata con grande attenzione: per esempio è in parte cava, per ridurre i pesi in alto.

Si racconta un aneddoto sulla sua costruzione: Costaguta è già affetto dalla grave malattia che di lì a poco lo avrebbe portato alla morte, ma vuole ugualmente controllare di persona la chiglia. Gli operai la sollevano con una gru fino alla finestra del progettista, che abita proprio accanto al cantiere e che può così dare il suo assenso finale. Artica si comporta benissimo, soprattutto con tempi duri, e vince nettamente il confronto con il defender francese.

Un’italiana si mette un Genoa

Arriva la Grande Guerra, come chiamavano la guerra mondiale prima che si dovesse numerarle, e tutto si ferma per un po’. Quando torna la pace si riprende a regatare e a mettere in mare nuove barche. Nel 1925 Francesco Giovannelli progetta l’8 m S.I. Cheta, che fa costruire dai Cantieri Baglietto per difendere la Coppa d’Italia dall’assalto dei francesi. Le regate si tengono d’inverno di fronte al Lido d’Albaro, a Genova. Il defender italiano è duramente impegnato dal francese Aile IV di Virginie Heriot e vira la boa in poppa con un certo ritardo.

Cheta è notoriamente una barca da tempi duri e quel giorno le condizioni meteo non le sono favorevoli. Giovanelli allora, sembra per suggerimento del marinaio Angelo Parodi, non ammaina il “fiocco pallone” che gli 8 m S.I. issano nei lati di lasco e pur rinunciando a stringere il vento recupera il distacco dai francesi. Il velaio e skipper Raimondo Panario assiste alla scena e ne ricava una vera illuminazione.

Nel corso dell’anno successivo, recuperati i ferzi di una vela inglese fuori uso, realizza un grande fiocco dalla forma piatta in grado di stringere di bolina. L’idea è quella di sfruttare un “buco” della stazza internazionale, che considera nulla agli effetti del rendimento la superficie velica del triangolo di prua a poppavia dell’albero, realizzando una vela di prua molto più grande di quelle usate fino ad allora.

In effetti il nuovo fiocco insieme a una randa particolarmente magra porta alla vittoria il 6 m S.I. Cora IV dello stesso Panario alle regate di Genova del 1926 e poi a quelle internazionali di Copenhagen: per qualche tempo le italiane sono le prime della classe. Cheta, tra l’altro, è anche la prima barca italiana a effettuare una trasferta a Cowes per sfidare il Royal Thames Yacht Club nella Cumberland Cup contro l’inglese Emily e la francese Aime IV: l’italiana però è sfortunata, perché va in secca quando era in testa alla regata.

La vittoria alle Olimpiadi

Arriva il fascismo, con la sua esaltazione della velocità e dello sport. In Italia fioccano i primati mondiale in motonautica, ma manca ancora una vittoria alle Olimpiadi. Bisogna arrivare fino al 1936, ossia le Olimpiadi di Kiel, per riempire questo vuoto nella vetrina dei trofei e proprio con la classe più difficile: la 8 m S I. Per l’Italia è la quarta partecipazione ai giochi.

Le barche in gara sono dieci e le regate sono combattutissime: la vittoria arriva proprio alla fine, dopo 30 ore di discussione di una protesta risolta grazie alla testimonianza del francese Arbaut e da filmati ripresi da un pallone frenato. L’equipaggio d’oro è così composto: il nostromo Franchini, che ha perduto una falange dell’indice sinistro in manovra, Massimo Poggi, Domenico Mordini, Luigi Poggi, il timoniere Leone Reggio, Bruno Bianchi e Luigi de Manincor.

Gli 8 m SI sono la classe metrica più grande e più costosa. Per un 8 metri S.I. nuovo ci vogliono 90.000 lire dell’epoca, il doppio che per un 6 metri S.I. Le regate internazionali a vela iniziano a febbraio con Genova e terminano a Cannes ad aprile. Per tenere armato un 8 metri SI alle 40 regate in programma sono necessarie 25.000 lire (contro le 15.000 lire di un 6 m S.I). Non è un caso se la spedizione di Kiel è finanziata dalla FIV.

Sulle pagine di Vela e Motore dell’epoca si propongono premi in denaro: “almeno i 5 migliori che si dividano in media i premi; essi copriranno completamente le spese e potranno arricchire le case dei proprietari di coppe, oggetti e medaglie soddisfacendo ogni legittima ambizione”. Per reperire i fondi si parla di pubblico e relativi biglietti e del “totalizzatore”: attirare nelle regate il grande pubblico degli scommettitori.

All’università della vela

Il Fasnet, la dura regata che si corre da Cowes a Plymouth usando come boa l’isolotto del Fasnet sulla costa irlandese, evoca tempeste e vento forte, mari grigi e nuvole basse. Una vera università della vela. La prima imbarcazione italiana a iscriversi ai suoi corsi, nel 1959, è il I classe RORC Mait II, di proprietà di Italo Monzino, un disegno di Olin Stephens che per anni domina in Mediterraneo.

Mait II dimostra di essere competitiva anche in Inghilterra, dato che riesce a passare in testa al gruppo dei 59 concorrenti. Sfortunatamente quella del ’59 è un’edizione del Fasnet condizionata da condizioni meteo piuttosto insolite, con bonacce e venti leggeri. La spunta il leggero II classe Anitra, e un bordo sbagliato nella fase finale, durante l’attraversamento della baia di Portland, taglia fuori Mait II dalla classifica.

Fin dalla sua nascita la vela italiana insegue con costanza una vittoria all'Admiral's Cup, considerata la più tecnica e importante delle regate d'Altura. È un traguardo che riesce a raggiungere finalmente nel ‘95. Della squadra fanno parte BravaQ8 di Pasquale Landolfi, Capricorno di Rinaldo Del Bono, Mumm a Mia di Paolo Gaia.

Il giro del mondo

Quando Giorgio Falk, importante industriale milanese, decide di farsi costruire un nuovo I Classe I.O.R. Chiede per prima cosa un preventivo a Sparkman & Stephens: 8.000 dollari, troppi anche per Falk che ripiega su un vecchio disegno degli stessi architetti… a 2.000 dollari.

La barca, il Guia, è tutta “made in Italy”, dalla chiglia alla punta dell’albero. Una caratteristica particolare è il timone, articolato su un sistema di giunti e di snodi a superficie curva anziché essere piatto e rigido. Guia è tra i primissimi yacht italiani a partecipare a regata oceaniche (nel gennaio del 1971 lo vediamo infatti alla Città del Capo - Rio de Janeiro). Due anni dopo è la prima barca italiana (insieme al CS&RB) a partecipare alla prima edizione della Whitbread.

In Coppa America

Azzura è una delle barche più famose della storia della nautica italiana. L’idea di partecipare nasce nel 1980 da un gruppo di soci dello Yacht Club Costa Smeralda. Il disegno di Azzurra è di Andrea Vallicelli, la barca viene varata il 19 luglio 1983 presso i cantieri dello Yacht Officine Pesaro. L’equipaggio è, coordinato dall’esperto Cino Ricci, il timoniere designato Mauro Pelaschier. Il progetto di Vallicelli insieme ad Australia II e all’inglese Victory 83 è protagonista della Louis Vuitton Cup.

Qualche anno dopo una barca italiana va davvero in Coppa America: è Il Moro di Venezia, del team di Raul Gardini, nel 1992. Se Azzurra era... azzurra, il colore del Moro di Venezia è il rosso. Mentre Azzurra era ancora un 12 m SI, una classe dove l’esperienza dei defender li rendeva imbattibili, Il Moro corre con le nuove regole IACC. Lo skipper Paul Cayard sceglie i giovani con il rinforzo degli esperti Enrico e Tommaso Chieffi, di Lorenzo Mazza. La finale della Louis Vuitton Cup si disputa contro NewZealand e la vittoria arriva meritata, dopo una violenta protesta per la questione del bompresso utilizzato illegalmente dai kiwi. Nel maggio 1992 durante l’America’s Cup contro America Cubed di Bill Koch non c’è storia: 4-1 per gli americani.


Nel 2000 a Auckland è arrivata Luna Rossa, di Patrizio Bertelli con sponsor Prada, detta Silver Bullet. Lo skipper è Francesco de Angelis e conduce la barca a memorabili sfide con AmericaOne di Paul Cayard per conquistare la Louis Vuitton Cup e sfidare Team New Zealand di Peter Blake e Russell Coutts, purtroppo decisamente più veloce. Da allora Patrizio Bertelli è arrivato a sei sfide: una in più di sir Thomas Lipton. In queste settimane è di nuovo a Auckland.

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