08 May 2016

Cantiere Matteri, l’amore della tradizione

Fondato nel 1860, il cantiere lariano costruiva barche da lavoro, da pesca e da trasporto. Oggi pezzi da collezione affidati per il loro restauro alle mani esperte di Erio Matteri. Nel rispetto della tradizione antica di chi ha saputo fare di un mestiere una passione nell’assoluto rifiuto, vecchio di generazioni, di una produzione in serie

Cantiere matteri, l’amore della tradizione

La tradizione dei carpentieri navali del lago di Como nasce con i maestri comacini, abili artigiani, riuniti in squadre composte da carpentieri, muratori, scalpellini, decoratori e pittori, in grado di elevare edifici, diremmo oggi, “chiavi in mano”.
Discendenti dai Longobardi e conosciuti dal VII secolo, furono gli artefici del Romanico Lombardo del IX secolo e dopo il mille, godendo di permessi speciali ed esentati dalle tasse, i protagonisti dell’architettura romanica: apprezzati e insostituibili, costruirono anche in città del centro Italia, come Pisa, Lucca, Ancona, Assisi e in Europa, dalla Francia alla Germania, fino alla Svezia.
In queste corporazioni il “maister” guidava i carpentieri che lavoravano il legno per innalzare impalcature, per costruire strutture a sostegno di archi, colonne e volte, che poi i muratori realizzavano in mattoni, pietra o materiali compositi.

Formatisi attorno al lago di Como, tramandarono la loro arte di generazione in generazione e ben presto ampliarono le loro file con artigiani lombardi e ticinesi, per rispondere alle molte commesse ottenute, spostandosi ovunque ci fosse lavoro.

Nei periodi invernali, di fermo del lavoro, molti di quelli che abitavano sulle sponde dei laghi s’ingegnavano a costruire barche da pesca per procurare il cibo alle famiglie, diventando poi veri carpentieri navali, costruttori di barche da trasporto, quando nell’ottocento i commerci da e per la Svizzera trovarono la via d’acqua più comoda, veloce e sicura del trasporto sulle strade strette del lungo lago.
I carpentieri lariani, girando l’Europa, avevano potuto allargare il loro bagaglio culturale con nuove conoscenze che, assieme alla loro abilità, portarono nella costruzione delle barche. Il piccolo batel, noto come Lucia nelle memorie manzoniane, solcò le acque del lago accanto alle barche più grandi, come i comballi e i navet, per il trasporto di merci e animali.  

Tra i costruttori di queste barche sul lago di Como, nacque il cantiere di Giovanni Mostes, nato a Lemna frazione di Molina, sulla collina che si affaccia sul lago, sopra Faggeto Lario.

È dapprima uno spazio all’aperto, sulle spiagge in cui c’erano barche da riparare, quello in cui inizia a lavorare, passando poi a costruire barche da lavoro, della cui costruzione si hanno tracce dal 1865.

Il figlio Enrico, nato a Lemna nel 1890, fin da giovane si unì al padre nella riparazione e costruzione di navet e batel, le tipiche imbarcazioni da trasporto. Si sposò in giovane età con Giuseppina Molina e nel 1912 Enrico si trasferì con la moglie a Lezzeno e assieme al fratello minore Alessandro poterono lavorare al coperto in un nuovo cantiere in muratura. Ben presto le strade dei fratelli si divisero. Alessandro, nel 1914, aprì un suo cantiere attiguo a quello del fratello, chiamandolo A. Mostes.

Enrico nel 1915 partì, invece, per la prima guerra mondiale, con la qualifica di Maresciallo di Marina. In quegli anni fu la moglie Giuseppina a gestire il cantiere chiamato E. Mostes, con pugno fermo e con l’aiuto di due operai.

Come altri maestri d’ascia, anche i Mostes appresero le tecniche navali della Serenissima, portate sul lago dai carpentieri veneziani, per la costruzione di barche da diporto, la cui richiesta era sempre più interessante con lo sviluppo del turismo e la realizzazione di molte residenze estive.

Sul lago Arrivano gli inglesi
Dal tardo ottocento, soprattutto nel basso e centro lago, molti inglesi scelsero di costruire le loro ville, importando anche le tipiche barche del Tamigi. Tra queste ebbero grande successo le tipiche lancette, costruite prima su disegni originali inglesi, da cui la denominazione di Inglesina, in seguito adattate con forme e dimensioni più consone alle acque del lago, più turbolente di quelle del Tamigi.
Al ritorno dalla Guerra Enrico riprese la conduzione del cantiere e accanto alla costruzione di barche da pesca o piccolo trasporto si sviluppava la produzione del diporto, con barche a vapore, canoe e skiff per il canottaggio, che affiancarono le inglesine da passeggio. Erano frequenti anche le riparazioni e costruzioni di barche da trasporto più grandi, ma per esse, che non entravano in cantiere, la lavorazione avveniva sempre sulla spiaggia, con particolari puntellamenti e impalcature che permettevano la lavorazione su entrambi i lati.

Il desiderio di Enrico di avere quell’erede che tardava ad arrivare, a cui tramandare cantiere ed esperienza, diveniva sempre più forte. Grazie all’aiuto del Vescovo di Como, Monsignor Alfonso Archi, nel 1919 riuscì ad adottare un neonato, che fu battezzato con il nome Amos Mostes.

L’anno seguente Giuseppina rimase incinta per la prima volta e partorì Fulvio quindi, con una seconda gravidanza, Nemesia. Come consuetudine, Enrico e Alessandro tornavano insieme quando c’erano commesse per costruzioni impegnative e tra le altre, costruirono la prima auto-boat italiana, traghetto del lago per il trasporto di auto e persone, collegando Bellagio con Varenna sulla sponda Est e Cadenabbia a Ovest.
Fu chiamata autochiatta Mussolini e costruita con lo scafo in acciaio di m 15 x 4 circa, pesava 15 tonnellate e aveva un motore Isotta Fraschini di 45 cv, che gli imprimeva una velocità di 15 km/h. Fu varata a Lezzeno il 15 maggio 1925. Nel primo anno di esercizio trasportò anche l’auto del Vescovo di Como, Monsignor Alfonso Archi, durante una visita pastorale. Purtroppo, il Vescovo volle trasbordare personalmente l’auto dal traghetto alla sponda, ma, sbagliando il tempo di manovra, finì nel lago. Il Duce, venutolo a sapere, volle che il suo nome fosse dissociato da un evento così clamoroso e nefasto e l’autochiatta fu ribattezzata Bellagio. Il Vescovo Archi se la cavò con un bello spavento...

Amos già a otto anni amava aiutare il padre in cantiere, ma Giuseppina si impose perché studiasse e lo iscrisse alla scuola di disegno “Ingegner Emilio Prandoni” di Torno, ove si diplomò nel 1937.

Intanto, nel 1930 i figli di Alessandro Mostes, Luigi e Mario, nella tradizione comacina, si spostarono dove c’era il lavoro e aprirono un loro cantiere a Genova Sturla. Proseguirono, dapprima, nella costruzione di piccole barche a vela e poi anche nella costruzione di yacht a motore e a vela.

Enrico aveva ottenuto la fiducia di molti proprietari di ville che si affacciavano sul lago e questa fiducia l’aveva ottenuta anche Amos, stimato per maestria e discrezione. Già da giovane, Amos con la sorella Nemesia, in estate, veniva invitato dal Conte Taverna a giocare con i propri figli nella villa di Torno.

1940 da Enrico ad Amos Matteri
Nel 1940 Enrico passò il testimone del suo cantiere ad Amos Matteri che sotto la sua guida era diventato un abile progettista e costruttore.
Con lo scoppio della seconda Guerra Mondiale, Enrico fu richiamato in Marina e fu imbarcato sull’incrociatore Eugenio di Savoia e sul Bolzano.
Amos a sua volta ricevette la chiamata alle armi, ma la cartolina riportava il nome Adolfo Matteri, perché il nome di battesimo Amos Mostes non era stato recepito e trascritto al Comune di Lezzeno.
Amos non era a conoscenza di nulla e pensò a un errore, ma in paese tutti sapevano della sua adozione, anche la fidanzata Maria. Non volle mai essere chiamato Matteri, ma con la nascita dei figli dovette arrendersi alle resistenze in Comune per il cambio del cognome e dare loro quello d’origine.

Amos partì per la Guerra e fu inviato in Albania, ove rimase sei anni nel corpo Genio Pontieri.

A Lezzeno da due anni non si avevano più sue notizie, quando tornò dall’Albania a piedi fino a Milano, dove un amico gli regalò una bicicletta. All’arrivo in paese nel 1945 le campane della chiesa suonarono per quasi due ore e tutti i compaesani usciti in strada urlavano “l’è turnà l’Amos”.

Sposò subito, nel dicembre del 1945, la fidanzata Maria Vaccani e nel 1946 nacque il primogenito Giuseppe e nel 1948 Flavia. Nel 1949 tornò a casa anche Enrico, tanti anni dopo la fine della Guerra, trattenuto a bordo per le operazioni di bonifica dei mari dalle mine, giusto in tempo per assistere nel 1950 alla nascita dell’ultimo nipote Erio.

Enrico decise di dedicarsi alla ricostruzione di Lezzeno e fu eletto Sindaco per molti anni, fece costruire le scuole del paese, non senza molte difficoltà, al punto che dovette recarsi anche a Roma per sbloccare le autorizzazioni.

Ma a Lezzeno mancava il lavoro e Amos si trasferì a Genova con moglie e figli, accettando l’invito dei cugini a lavorare nel loro cantiere: nel mar Ligure stava sbocciando la passione per i dinghy 12’ stazza internazionale, lancette di costo contenuto che non avevano bisogno di motore per divertire. Inoltre, i vari circoli nautici avevano ripreso a organizzare le regate di classe e tutto ciò si era tradotto in una grande richiesta di costruzione, a cui il cantiere Mostes di Genova doveva far fronte. Amos costruì oltre cento dinghy 12’, di grande successo, che dal 1947 al 1962 conquistarono undici titoli italiani.

Quando anche sul lago riprese la richiesta di barche, grazie alla ripresa economica, Amos riportò la famiglia a Lezzeno, dove continuò a costruire i dinghy, anche per i cugini di Genova.

Accanto a quella di lussuose imbarcazioni a motore per le ville del lago, coadiuvato dal figlio Giuseppe riprese la costruzione delle Lucie, tornate di moda come barche da passeggio, a remi o con fuoribordo (una di queste arricchirà negli anni ottanta anche la darsena dello stilista Gianni Versace). La Lucia in quegli anni fu il modello di maggior successo e divenne il simbolo del Cantiere Matteri in tutta l’Europa.

Nasce Erio Matteri, la quarta generazione
Il giorno in cui Maria ebbe le doglie per partorire Erio, il 29 novembre del 1950, a Lezzeno non c’era nessuno che potesse assisterla, perchè la levatrice era già impegnata in un altro parto. Chiamò allora Amos per farsi portare in ospedale a Como, ma in barca ci sarebbe voluto troppo tempo, faceva freddo e Amos, agitatissimo, corse in bicicletta a chiamare il signor “Baciccia”, che era l’unico in paese ad avere una macchina. Amos aveva la patente, ma alle auto preferiva le barche con cui si spostava più agevolmente via lago. La strada per andare a Como era stretta e dissestata, ma il tragitto via terra, pur lungo, era quello più veloce per l’ospedale. Quando tra la gente del posto si spargeva la notizia che un’auto avrebbe raggiunto la città, c’erano anche richieste di passaggio. Fu così che accanto a Maria con i dolori del pre-parto e ad Amos, qualcun altro sfruttò un passaggio per sbrigare le sue commissioni a Como.
E nacque Erio.

Nell’anno in cui Amos fu nominato Cavaliere del Lavoro, Erio si diplomò maestro d’ascia e, con la passione per le barche da corsa, iniziò a collaborare con il giovane Alessandro Mostes, nipote dell’omonimo fratello di Enrico, nel cantiere contiguo, in cui si iniziavano a costruire i primi bolidi di vetroresina.

Ben presto successe che il fratello maggiore di Erio, Giuseppe,  preferì la sua autonomia abbandonando il cantiere che Enrico Mostes aveva lasciato al figlio adottivo Amos. Fu così che Erio prese il suo posto accanto al padre.

Cresciuto professionalmente con gli insegnamenti di Amos, Erio nel 1979 è la quarta generazione alla guida del cantiere, portando un nuovo spirito creativo. È stato uno dei fondatori della Associazione Nazionale Maestri d’Ascia e, rimasto solo a capo del cantiere, accanto alle costruzioni tradizionali, nella sua fucina d’idee che, per la sua struttura d’epoca, non ha perso il sapore di un vecchio squero sulla riva del lago, iniziò ad affinare le tecniche, sia di costruzione per nuovi modelli di barche in legno, sia per il restauro delle barche tradizionali, o storiche.

Chiamato da Gianalberto Zanoletti, fondatore del Museo della Barca Lariana e profondo conoscitore delle barche storiche, come consulente per il reperimento, l’identificazione e il restauro delle barche del lago di Como, ebbe occasione di ampliare le proprie conoscenze.

Così, con il patrimonio genetico e culturale dei carpentieri comacini, l’esperienza tramandata da generazioni e la sua sensibilità personale, Erio, ben presto, si affermò anche come uno dei più qualificati restauratori, uno dei pochi capaci di decidere quali parti di una barca vadano conservate e quali sostituite. Ciò per cercare di temperare la conserva zione della storia con la sicurezza della navigazione, quest’ultima conditio sine qua non per la conservazione della vita della barca e dei suoi occupanti. In cantiere, accanto ai restauri, alla costruzione di barche a vela e a motore, con linee classiche o rivisitate, negli anni ottanta nascono le imbarcazioni elettriche: la tecnologia elettrica viene applicata a ogni tipo d’imbarcazione, d’epoca restaurata o di nuova costruzione, per un impatto ambientale a zero emissioni. I prototipi realizzati hanno riscosso molto interesse in varie esposizioni internazionali, come Montecarlo, Parigi e Friedrichshafen.

Anche Eta-Beta è un progetto Matteri, è una barca ibrida con motore diesel affiancato da uno elettrico, che, insieme, rispetto al solo motore elettrico, offrono migliori prestazioni di velocità e percorrenza.

Il rifiuto, vecchio di generazioni, di una produzione in serie, ha contribuito ad affinare un tipo di produzione personalizzabile a richiesta del cliente, pur nell’ambito di alcune linee guida sperimentate di produzione, definite Matteri Classic Line, Matteri Sport Line e Matteri Tourism Line, imbarcazioni che profumano di legno prezioso, anche quando viene utilizzato su uno scafo in vetroresina.

Il restauratore dei Riva storici
Come restauratore, la notorietà di Erio è derivata dai molti premi conseguiti dalle barche passate dal suo cantiere. Ai raduni delle Lucie le sue sono sempre premiate, alla Monaco Classic Week è stato premiato il vaporino Taroni Ida, ai raduni Asdec il 6 m. Stazza Internazionale Dan. In seguito, agli eventi della Riva Historical Society, vengono ammirate e premiate barche molto importanti e rare affidate alle sue cure, come il racer Riva Ronzino del 1935, il Tritone Engfal’s del 1955, o il BF Lungo Lena II del 1949.

Ma proprio la scoperta del piacere nel restauro dei motoscafi Riva ha impresso al cantiere una svolta nella sua specializzazione. Perchè grande è la soddisfazione che si trae dal restaurare barche che sono state così ben costruite all’origine, con il concetto di favorirne la manutenzione e lo smontaggio delle parti, affinché, in seguito, fosse facile e non distruttiva la sostituzione di ogni componente.

Oggi si possono vedere ai lavori Riva di ogni dimensione, dal Florida all’Aquarama Special, barche in manutenzione o necessitanti di una ricostruzione quasi integrale. Sempre cercando di conservarne tutte le parti sane, con l’intento di mantenerne l’originalità nella scelta dei legnami, delle tecniche costruttive e delle finiture. Non disdegnando, tuttavia, alcune resine e collanti moderni, per il risanamento delle parti da conservare.

Una particolare attenzione, la moglie Paola e la figlia Francesca rivolgono agli ospiti, accogliendoli nella casa museo sul lago, o affiancando il personale che assiste ai pontili i clienti che hanno le barche rimessate al club Eriolario, contribuendo anche al successo di raduni e incontri che si appoggiano a loro.

Così il Cantiere Matteri ha ospitato alcune riunioni del Corso Giudici e ha collaborato ai raduni RHS a Villa d’Este, Villa Erba, Bellagio e la stessa Lezzeno.

La possibilità di noleggiare i Riva con comandante, unitamente alla professionalità di Erio, dei suoi piloti Gardino e Mattia e alla bellezza del lago di Como, ha fatto si che alcune produzioni cinematografiche si siano rivolte a Erio per l’impiego dei motoscafi Riva nei loro filmati.

Per il mancato cambio del cognome da parte del Comune, nella trascrizione dell’adozione, da Amos Matteri ad Amos Mostes, il cantiere di Enrico Mostes divenne Matteri.

Ma con l’esistenza di altri tre Cantieri Mostes, quello di Faggeto, il confinante di Lezzeno e quello di Genova, la diversificazione del nome l’ha reso più identificabile, nelle sue specifiche specializzazioni. E la storia continua.

di Piero Gibellini

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