02 March 2017

Intervista a Francesco Bruni, timonare non è più solo una questione di mure a dritta o sinistra: ora si timona a tre dimensioni

Secondo timoniere sul team svedese Artemis Racing, il "nostro" Francesco Bruni ci parla della Coppa America che tra poco meno di tre mesi darà spettacolo a Bermuda: dalle qualità richieste per timonare, volando, a 40 nodi all'evoluzione del ruolo del tattico, dall'enorme sforzo fisico richiesto ai grinder a come controllare l'incidenza di timoni e foil e molto molto altro

Intervista a francesco bruni, timonare non è più solo una questione di mure a dritta o sinistra: ora si timona a tre dimensioni

Morgan’s Point (Bermuda), 1 marzo 2017 - Sei team partecipanti alla 35esima America’s Cup, che inizierà tra poco meno di tre mesi (85 giorni) alle Bermuda. Sei barche, ognuna con sei uomini d’equipaggio: quattro grinder, un timoniere e un regolatore dell’ala. Il tattico? In questa Coppa tutta forza e velocità non è più determinante come prima. Tolto il timoniere, che ha fin troppo da fare, molto più di prima, il ruolo del tattico lo può ricoprire uno qualsiasi degli altri cinque, magari anche un grinder. Considerate le riserve, sono quindi una sessantina in tutto i velisti impegnati in questa Coppa America, praticamente quelli di due soli team nelle edizioni precedenti. Essere tra questi significa fare parte dell’élite del professionismo della vela mondiale. Francesco Bruni, secondo timoniere dello svedese Artemis Racing, c'è. Siamo andati a trovarlo alla base del suo team, l’unica che non si trova a Dockyard, ma dalla parte opposta della baia dove si troverà il campo di regata della 35esima Coppa America, a Morgan’s Point. Siamo partiti dal lavoro interrotto con la sfida di Luna Rossa per arrivare a bordo degli attuali catamarani che “vanno ad olio”.

Vela e Motore - Avevi iniziato la campagna per la 35esima Coppa America come timoniere di Luna Rossa. Poi, nella primavera del 2015, in disaccordo con il cambiamento del regolamento, Patrizio Bertelli ha ritirato la sfida. Con pochi posti a disposizione per i velisti, sei riuscito a rimanere nel giro, approdando ad Artemis Racing. Come è successo?
Francesco Bruni - Ricordando quei giorni in cui Patrizio Bertelli ha deciso di ritirare Luna Rossa dalla Coppa America, le prime settimane sono state difficili per tutti noi del team. All’inizio pensavamo fosse un bluff per convincere Oracle e gli altri challenger a non cambiare il regolamento, poi quando abbiamo capito che faceva sul serio, abbiamo iniziato a preoccuparci. Ci dispiaceva interrompere bruscamente una campagna iniziata subito dopo la fine della Coppa precedente a San Francisco negli USA. Eravamo già a buon punto ed eravamo diventati un bel team, molto preparato e avanti con la preparazione.



VeM - Quanto è durato lo shock?
F.B. - Per me poco. Avevo già iniziato a riorganizzarmi per affrontare la stagione nei vari circuiti di vela professionistica, ma appena tre settimane dopo lo scioglimento di Luna Rossa ho ricevuto una telefonata di Iain Percy (il campione olimpionico inglese, team manager e tattico di Artemis Racing, ndr) che mi chiedeva di fare una prova con loro dato che cercavano un secondo timoniere da affiancare allo skipper Nathan Outteridge. Tra provini, incontri, attese di risposte, sei mesi dopo ero felice di essere alle Bermuda e fare di nuovo parte a tempo pieno di un team di Coppa America.



VeM - Artemis Racing non è l’unico team ad averti cercato, c’è anche il defender Oracle, è vero?
F.B. - Ci sono stati altri contatti, ma mi sono trovato subito bene con Iain (Percy, ndr) e ho scelto lui. Non voglio dire chi mi abbia contattato, anche se devo ammettere che io la Coppa voglio sfidarla, non andare a vincerla con un team che già ce l’ha. Essere cercato da due team stranieri mi ha fatto piacere, perché in genere succede il contrario: siamo noi italiani a ingaggiare velisti da fuori, è più difficile che dall’estero chiamino noi italiani. In Coppa succede raramente. Ora spero di fare un bel lavoro.



VeM - Si è spesso detto che la Coppa America e la vela siano due mondi distanti. Oggi pensi che si sia arrivato oltre, ovvero Coppa America e vela sono proprio due pianeti diversi?
F.B. - La differenza si è certamente esasperata, ma dire che questa Coppa non sia più vela è esagerato. La frattura non è stata provocata dai multiscafi o dalle ali rigide, come molti sostengono. Bensì dai foil. Delle ali rigidi se ne potrebbe anche fare a meno, portano aumento di costi e complicazioni logistiche. Sono belle da vedere e sono tecnologicamente più efficienti, riducono notevolmente i carichi, ma se io dovessi creare una mia Coppa America, toglierei le ali rigidi e manterrei i foil. Mentre l’ala rigida difficilmente la riesci ad applicare ad altre realtà della vela, i foil possono essere utilizzati su qualsiasi barca. L’ultimo Vendé Globe ci ha fatto vedere come anche le imbarcazioni con la chiglia possano navigare con i foil. In futuro si andrà sempre più verso barche con meno piombo sotto lo scafo e più foil.



VeM - Parlando di mondi diversi, della vela stadio della Coppa, invece, cosa ne pensi?
F.B. - Regatare in uno spazio ridotto funziona per gli spettatori e la tv, condivido la scelta. Ritengo però esagerato ridurre la durata di una regata a 20 minuti. Una poppa sarà completata in appena 3’. Così è un po’ troppo uno sprint, un tiro di dadi. Magari andranno bene in televisione.



VeM - Un defender e cinque challenger, sono un buon numero di equipaggi?
F.B. - A differenza di tanti, io non credo che la Coppa America abbia bisogno di venti team, però in effetti sei sono pochi. La Coppa di Valencia, con 13 equipaggi, sarà a lungo ricordata come la più bella degli ultimi anni. Ma non per le barche, quelle ormai sono superate. Se in futuro dovessero tornare i monoscafi, dovrebbero essere comunque mezzi con i foil capaci di andare a 30 nodi.



VeM - Un velista professionista che non partecipa a questa Coppa America, quanto perde per poter rientrare nel giro la volta dopo?
F.B. - Deve essere disposto a ricominciare abbastanza da capo. Io stesso ho commesso degli errori in passato, dei quali ancora mi pento. Nella campagna di Luna Rossa con il 72 piedi per la Coppa di San Francisco, dovevo subito iniziare ad andare sul Moth come fece Chris Draper (l’inglese a cui fu infatti affidato il timone della barca, ndr). Se non avessi iniziato ad andare in Moth, come poi ho fatto, tante cose ancora oggi non le capirei della vela con i foil. Anche prima si approdava alla grande Coppa America dopo lunghe esperienze con le barche piccole e le derive. Questo non è cambiato, solo che ora il cammino bisogna iniziarlo sempre su barche piccole, ma con i foil, per capirne le dinamiche che poi si applicano alle barche di Coppa nella stessa identica maniera.



VeM - Come sappiamo, Luna Rossa si è ritirata per protesta, ma aveva iniziato a lavorare molto prima di tutti gli altri team. Se avesse continuato, quel vantaggio se lo sarebbe portato dietro e oggi sarebbe lo sfidante più forte, potendo tu ora giudicare direttamente il livello raggiunto da tutti?
F.B. - Se non fosse stato cambiato il regolamento e si fosse rimasti sui catamarani di 62 piedi, sì. Con la nuova classe di barca introdotta dopo, il 50 piedi di adesso, che è di fatto un monotipo ad eccezione dei foil, sarebbe un ottimo team in gioco come gli altri. Capisco la reazione di Bertelli, perché con il cambio di classe, tanto della ricerca iniziata da Luna Rossa aveva perso di valore. Basti pensare che con gli scafi one design, gli studi di aerodinamica e di fluidodinamica che avevamo portato avanti con un team di progettisti, ingegneri e architetti, sono diventati improvvisamente inutili. Luna Rossa è approdata due volte alla finale degli sfidanti e una l’ha anche vinta, ma questa campagna sarebbe stata sicuramente la più forte di tutte le precedenti.



VeM - Ti senti mai con Patrizio Bertelli?
F.B. - A Natale. Credo che lui continui a seguire un po’ tutti gli ex di Luna Rossa. Mi piace pensare che lui abbia ancora voglia di partecipare alla Coppa America e che, in futuro, dovendo formare un nuovo equipaggio, pensasse a me come uno da richiamare a casa dopo essere stato fuori a imparare nuove cose. Invece, con Max Sirena (ex skipper di Luna Rossa e ora nel team tecnico di Emirates Team New Zealand, ndr) e tanti altri ragazzi ci sentiamo di continuo, ma senza dividerci le informazioni dei team. Siamo prima di tutto amici ed è normale che sia così. 



VeM - Bertelli tifa per i neozelandesi?
F.B. - Ovviamente. Ma mi pare non sia l’unico, almeno in Italia. Io spero di vincere con Artemis Racing, ma molti italiani vedono nella vittoria di Emirates Team New Zealand l’unica possibilità di rivedere Luna Rossa in Coppa America.



VeM - Ad Artemis Racing tu sei il secondo timoniere, il primo è l’australiano Nathan Outteridge. Come vivi questa tua posizione all’interno del team?
F.B. - Molto bene. Quando usciamo con due barche io ne timono una, di questo sono molto felice. Inoltre, Nathan (Outteridge, ndr) è mancato per più di sei mesi in occasione della sua ultima campagna olimpica di Rio 2016, quindi per un lungo periodo io sono stato l’unico timoniere presente e ho lavorato in prima fila a tutto lo sviluppo della barca che vedremo in regata in Coppa America. Mi piace che non mi abbiano impiegato solo come timoniere. Per il programma sportivo, invece, il mio compito è migliorare le qualità di Nathan nella fase di prepartenza che, al momento, è l’unica cosa che deve migliorare rispetto a James Spithill (skipper di Oracle Team USA, ndr), Dean Barker (SoftBank Team Japan, ndr) e Ben Ainslie (Land Rover BAR, ndr). Quindi, in allenamento ce le diamo di santa ragione ed è un lavoro molto utile, perché anche io devo essere sempre pronto nel caso si presentasse l’occasione di dover prendere il timone della barca al posto di Nathan durante la Coppa America. Nello sport non si può mai dire.



VeM - Dici che ci saranno i circling prima della partenza?
F.B. - Con queste barche le evoluzioni tipiche del match race hanno un ruolo più marginale. Però, combattere nel prepartenza per conquistare la testa alla prima boa, è molto importante. Più importante di quanto non fosse nella Coppa di San Francisco.



VeM - Che sentimenti nutri nei confronti di Oracle Team USA, che è il defender a cui vuoi portare via la Coppa con Artemis Racing e che è anche il team che ha causato il ritiro di Luna Rossa?
F.B. -
Non fanno molto per apparire simpatici. Li dobbiamo battere, è una sfida che sento molto. Sono convinto che Artemis Racing abbia tutte le carte in regola per farcela. Certo, prima dobbiamo conquistarci il ruolo in finale eliminando tutti gli altri challenger. Oracle Team USA sarà comunque sempre difficile da battere, perché hanno tutto dalla loro parte. Con le nuove regole partecipano addirittura alle regate del primo round robin degli sfidanti e poi hanno tutto il tempo di migliorare la barca in attesa della finale della Coppa America, alla quale loro sono già qualificati, ovviamente di diritto, essendo il defender.



VeM - Come sono queste nuove barche della Coppa America?
F.B. -
Hanno molti elementi one design, sono più piccole di quelle della Coppa di San Francisco, ma vanno più veloci, raggiungendo facilmente velocità di punta di 45 nodi. Stanno sempre sollevate dall’acqua sui foil, perfino in virata, e in bolina andare tra i 25 e 32 nodi è la normalità. Se c’è vento medio, tra i 10 e i 16 nodi, gli scafi non toccano mai l’acqua durante tutta la regata. Per le regate, il limite massimo di vento previsto dal regolamento sarà 25 nodi, ma sopra i 20 nodi di vento questi catamarani sono dei cavalli imbizzarriti. Fino a 20 nodi li abbiamo addomesticati, ma oltre, navigare diventa sopravvivenza.



VeM - Con le regate che durano solo 20 minuti, la vela di Coppa America è diventata uno sport anaerobico?
F.B. - Per i grinder di sicuro. Devono lavorare in continuazione, senza mai fermarsi, per tenere sempre l’olio del circuito idraulico in pressione, che serve a far funzionare i pistoni per le varie regolazioni, a loro volta comandati dalle elettrovalvole regolate dall’equipaggio con dei bottoni. In manovra hanno dei picchi di sforzo enorme e alla fine della regata sono cotti. 



VeM - Qual è la regolazione più importante in barca?
F.B. - Il movimento per controllare l’angolo d’incidenza dei foil e dei timoni, spostandoli avanti e indietro, con il quale decidiamo a che altezza far volare la barca. Sulla ruota del timone (ma, probabilmente non a caso, nell’intervista a Francesco Bruni in un primo momento è scappato di chiamarlo “volante”) ci sono i pulsanti per variare l’angolo d’incidenza delle derive e dei timoni. Il timoniere li sposta in continuazione per mantenere l’altezza di volo ideale. Infatti, non basta solo sollevarsi dall’acqua, ma è importante sapere quanto. Da un lato vuoi abbattere la resistenza tenendo meno deriva sott’acqua, ma se esageri inizi ad andare di traverso perché non opponi più contrasto allo scarroccio. Sulle derive ci sono dei segni che indicano quale sia l’altezza di volo da mantenere. Allo stesso tempo, bisogna controllare anche l’assetto della piattaforma, che con le prue abbassate è più efficiente aerodinamicamente. 



VeM - Tutto questo lo deve fare il timoniere mentre va a 40 nodi?
F.B. - Sì. Timonare queste barche non è più solo una questione di destra o sinistra, ma anche: alto e basso, prua su e prua giù. Si timona a tre dimensioni.



VeM - Come sono quindi i ruoli a bordo?
F.B. - Ci sono un timoniere, un regolatore dell’ala e quattro grinder. In diversi equipaggio, uno dei quattro grinder è anche il tattico, come da noi Iain Percy. Gli altri tre grinder hanno diversi pulsanti a piede a cui pensare, per esempio per la regolazione del fiocco, per sollevare o abbassare la deriva. Bisogna essere bravi a distribuire bene i compiti, perché tutte le operazioni devono essere eseguite mentre si naviga a 30-40 nodi di velocità. Se il timoniere non può avere la responsabilità di tutti i pulsanti per le regolazioni, dall’altra parte è anche vero che i grinder quando sono nel pieno dello sforzo perdono la lucidità per pensare anche alle manovre. 



VeM - Nonostante i pulsanti che regolano tutto, l’uomo con la sua lucidità mentale in condizioni di velocità estrema e con la sua forza fisica è sempre al centro dell’efficienza del mezzo?
F.B. - Certamente. Su ogni barca vedremo quattro grinder che faranno uno sforzo fisico enorme e i due dietro, il timoniere e il regolatore dell’ala, che dovranno essere il più possibile leggeri. Nell’ottica di tutte le criticità tecniche, tecnologiche e umane, dobbiamo anche rispettare il peso medio di 87,5 chili a persona. Più i grinder devono essere potenti, quindi inevitabilmente pesanti, più gli altri due devono essere leggeri. L’agilità e l’equilibrio sono qualità richieste a tutti. Queste sono barche molto nervose e spesso in allenamento tutti i team perdono uomini in mare. In regata, questo inconveniente comporta in nove casi su dieci la perdita del match.



VeM - Tatticamente che regate saranno?
F.B. La tattica conterà molto meno che in passato. Durante i lati di bolina e di poppa vedremo le barche rimbalzare tra le linee laterali e il centro del campo di regata. Due saranno le fasi importanti: decidere se partire sopravento o sotto all’avversario per arrivare al comando alla prima boa e l’avvicinamento al gate per impostare il lato successivo. Le decisioni da prendere sono meno rispetto ai match race tradizionali, ma di vitale importanza. Un errore difficilmente si recupera. 



VeM - Il defender è il più forte, oppure, come in tutte le America’s Cup, alla vigilia della finale il pronostico sarà 50-50%?
F.B. - Oracle Team USA è sicuramente forte. Emirates Team New Zealand può essere decisamente la sorpresa. Oltre alla scelta di avere dei grinder che lavorano con le gambe, come i ciclisti, hanno anche mostrato una coppia di foil che è di forma parecchio diversa da tutte le altre. Sta osando molto. 



Andrea Falcon

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