Una barca ben bilanciata è il sogno di ogni velista: più veloce, più sicura. Le
barche sono cambiate nel tempo. Un articolo tecnico per comprendere come fare.
Fra gli aspetti progettuali più complicati che uno yacht designer si trova a
dover risolvere, c’è sicuramente quello di centrare la barca, cioè
posizionare in maniera adeguata piano velico e piano di deriva. Una barca ben
equilibrata è una barca che non affatica l’equipaggio e garantisce buone
prestazioni in u...
Introduzione
Una barca ben bilanciata è il sogno di ogni velista: più veloce, più sicura. Le
barche sono cambiate nel tempo. Un articolo tecnico per comprendere come fare.
Fra gli aspetti progettuali più complicati che uno yacht designer si trova a
dover risolvere, c’è sicuramente quello di centrare la barca, cioè
posizionare in maniera adeguata piano velico e piano di deriva. Una barca ben
equilibrata è una barca che non affatica l’equipaggio e garantisce buone
prestazioni in un range di condizioni molto ampio. In effetti, dal corretto
centraggio dipendono fortemente le qualità nautiche di una barca a vela, come
la capacità boliniera, la facilità e il divertimento di conduzione, la
stabilità di rotta, la reattività in manovra e la capacità di navigare
sovrainvelati.
Di fatto, sono diversi gli elementi che intervengono a rendere complicata la
corretta disposizione di appendici e piano velico. Negli ultimi anni, questo
campo dell’architettura navale ha goduto di un importante sviluppo grazie anche
alla disponibilità di calcolatori in grado di far girare pesanti software di
fluidodinamica numerica. Un esempio eclatante delle nuove possibilità
raggiungibili è il Ghost, un fast cruiser di 122 piedi, 717 metri quadrati di
vele e 120 tonnellate di dislocamento, che è talmente ben centrato e così
accuratamente studiato nella disposizione delle superfici da non richiedere l’
interposizioni di sistemi di servoassistenza fra le due ruote e la pala del
timone: questo megayacht si lascia condurre in punta di dita anche ad elevate
velocità e a scafo sbandato.
Per contro, non sono rari i casi in cui il bilanciamento si dimostra
palesemente errato, con la conseguenza che, in certe condizioni, la barca
richiede un impegno gravoso a chi sta al timone, fino a divenire addirittura
ingovernabile se non si ricorre a ridurre una delle vele o a sventarla.
Il centraggio delle superfici rappresenta un fattore che caratterizza
fortemente la tipologia e il carattere di una barca a vela, anche se risulta
difficile definire a priori e in maniera generalizzata uno standard che dia in
maniera univoca ilcorretto centraggio della barca.
Resta il fatto che una barca ben bilanciata che corre in una data direzione non
naviga con un angolo di calettamento del timone nullo; il timone contribuisce
al lavoro della deriva: se una barca è poggiera il timone dovrà contrastare
questa tendenza generando una forza opposta a quella della deriva, con il
risultato di aumentare il carico di lavoro della deriva e quindi, a parità di
forme delle appendici, lo scarroccio. Viceversa, in una barca orziera il timone
contribuisce al lavoro della deriva nel ricercare la forza trasversale che si
oppone a quella sbandante del piano velico. Inoltre, una barca che tende
automaticamente a mettere la prua al vento può vantare un fattore di sicurezza
non trascurabile, poiché nella manovra di orzata si scaricano le vele riducendo
il rischio di un eccessivo sbandamento.
Per questi motivi, di solito si considera che buona barca non dovrebbe mai
essere poggiera. Esiste quindi una giusta condizione nella quale è utile che la
barca sia orziera, ma se si deve eccedere nell’angolo di incidenza della pala
del timone, oltre a introdurre forti resistenze all’avanzamento che possono
vanificare l’utilità di un minor scarroccio, si rischia di far stallare il
profilo del timone, con la conseguenza di perdere il controllo dell’
imbarcazione che parte inevitabilmente in straorzata.
Allo stesso modo la tendenza orziera di una barca aiuta il timoniere ad una
conduzione più facile, poiché tutte le variazioni di pressione che entrano in
gioco sulle vele vengono percepite sulla barra o sulla ruota come un aumento o
una riduzione della forza richiesta per mantenere la rotta. Condizione
necessaria per poter garantire un buon centraggio è quella di conoscere sia
dove agisce la risultante delle forze aerodinamiche sulle vele, sia dove agisce
la risultante delle forze idrodinamiche generate dalle appendici e dalla parte
immersa della carena nelle varie andature e ai diversi angoli di sbandamento.
Esistono delle eccezioni, come sempre. Ci sono barche disegnate per navigare in
poppa sotto timone automatico (è il caso degli Open oceanici), dove si
privilegia sostanzialmente questa condizione al resto usando chiglie piccole e
arretrate, tanto che si impiegano derive mobili per ripristinare una corretta
superficie di deriva per la bolina. Al timone si ha la strana sensazione di
doverle “spingere” all’orza. Questo è talvolta un effetto indotto dalle ridotte
superfici di deriva delle barche da regata, dove ovviamente si cerca di ridurre
al massimo per migliorare la scorrevolezza. In generale questo non è un
problema delle barche di serie anche se negli ultimi anni si sono visti
notevoli progressi nell’uso di appendici “evolute” che migliorano la
conduzione.
Forze e centraggio
Forze e centraggio
Quando una barca a vela naviga in una determinata direzione, tutte le forze
laterali e longitudinali a cui è sottoposta sono mediamente in equilibrio e la
barca è mediamente bilanciata. Queste forze sono generate principalmente dal
piano velico e dall’opera viva della barca stessa. In tutto questo, la deriva
ha lo scopo di formare una forza di uguale direzione e intensità della forza
sbandante generata dal piano velico, ma con verso opposto. Le risultanti delle
forze aerodinamiche e idrodinamiche che agiscono sul piano velico e sul piano
di deriva hanno dei punti di applicazione caratteristici, la cui distanza in
direzione verticale caratterizza il momento sbandante, mentreaedistanza in
direzione longitudinale caratterizza il centraggio.
A grandi linee si può dire che spostando avanti il centro aerodinamico del
piano velico rispetto al centro di applicazione delle forze dell’opera viva, la
barca diviene meno orziera o più poggiera, mentre spostandolo indietro la barca
diviene meno poggiera o più orziera. In realtà, ci sono diversi altri fattori
che influenzano il centraggio della barca, primo fra tutti lo sbandamento.
Quando una barca naviga sbandata il centro di applicazione della forza
propulsiva generata dal piano velico si sposta sottovento, mentre quello della
forza di resistenza generata dalla deriva va a trovarsi sopravento.
Più lo sbandamento è accentuato, maggiore è la distanza trasversale fra i due
centri di applicazione delle risultanti e maggiore è l’intensità del momento a
orzare: più una barca sbanda maggiore è la sua tendenza orziera. Quest’ultimo
effetto è più evidente per imbarcazioni che hanno appendici molto profonde o un
piano velico con un centro aerodinamico molto alto, come nel caso di un rig
allungato o di una randa molto allunata. Allo stesso modo, una carena che
quando sbanda lascia un’impronta in acqua molto asimmetrica dà vita ad un
momento, più spesso a orzare che a poggiare, che introduce una nuova variabile
nel centraggio delle superfici della barca.
Il centraggio coinvolge quindi non solo il posizionamento longitudinale del
piano velico nei confronti dell’opera viva, ma anche diverse caratteristiche
geometriche e inerziali del rig e dell’intera barca a vela. Inoltre, la
distanza longitudinale fra centro di applicazione delle forze aerodinamiche e
il centro di applicazione delle forze idrodinamiche, non è fissa e varia in
funzione di diversi parametri, come lo sbandamento e la regolazione delle vele.
Non va poi trascurata l’efficienza del sistema di timoneria che deve garantire
il controllo sulla direzione non solo a barca dritta, ma anche a barca
sbandata. Lo sforzo che un timoniere deve fare per mantenere la rotta, può
essere ridotto spostando lungo la corda della pala l’asse di rotazione, ma se
la barca è poco bilanciata continuerà a richiedere correzioni
e interventi che stancheranno presto il timoniere.
Applicazione delle forze
Applicazione delle Forze
Nella definizione della posizione del centro di applicazione delle forze che
agiscono sulla parte immersa dello scafo, ci si deve scontrare con problemi
abbastanza
complessi, principalmente legati agli effetti idrodinamici che caratterizzano
determinate forme geometriche in movimento nell’acqua e che non sono sempre
prevedibili a priori. In sostanza, si cerca un centro di resistenza laterale
“CRL” caratteristico dell’opera viva di una barca a vela in cui si possono
riassumere tutte le forze idrodinamiche che agiscono su tutta la parte immersa
della barca.
Sono diverse le teorie sufficientemente attendibili che consentono una
valutazione abbastanza veloce della posizione del CRL in uno scafo completo di
appendici; si tratta di metodi che mettono in relazione il centro idrodinamico
con quello geometrico delle forme in esame (appendici comprese) appoggiandosi a
casistiche legate a determinate configurazioni di carena testate in vasca
navale. Per esempio, nel caso di scafi a chiglia lunga con timone integrato
nella deriva l’unico metodo disponibile per un progettista per trovare a priori
un CRL è quello di utilizzare il centro geometrico del profilo laterale dell’
opera viva della barca e relazionarlo, in base a valutazioni empiriche, al
centro velico della barca: si tratta di una metodologia centenaria che può
vantare una libreria ricchissima di casistica a cui far riferimento.
Nel caso di imbarcazioni a deriva allungata e ben separata dalla pala del
timone si possono utilizzare metodologie molto semplificate, ma in grado di
fornire risultati
abbastanza realistici.
L’altro aspetto necessario ad una valutazione del centraggio della barca è
legato alla definizione del centro velico, cioè del centro di applicazione
delle forze aerodinamiche. La posizione di centro aerodinamico CA varia in
funzione di come sono regolate le vele: per esempio, quando si naviga al gran
lasco e il vento apparente arriva sulle vele con un’incidenza di 90 gradi, il
flusso della superficie sottovento della vela è completamente separato e la
forza aerodinamica ha una risultante che agisce in corrispondenza del centro
geometrico della vela; nelle andature dalla bolina al traverso, invece, le vele
lavorano alla stregua di ali e, quindi, senza far separare la vena fluida, con
il risultato che il centro delle forze aerodinamiche si sposta verso il bordo d’
attacco della vela stessa e quindi verso prua. E’ noto poi
che una più una vela è magra, più si sposta a prua il suo CA e, viceversa, più
il grasso di una vela è accentuato, più il suo CA si avvicina al centro
geometrico della vela. Smagrendo o ingrassando le vele si influisce quindi sul
bilanciamento della barca e, di conseguenza, sulla forza con cui si deve agire
sulla ruota o la barra del timone.
Noti il CRL e il CA di opera viva e piano velico, si deve procedere al loro
corretto posizionamento in modo tale che la barca risulti equilibrata.
Posizionare in
maniera adeguata il piano velico rispetto alle appendici e in generale al CRL
della carena non è immediato e affrontare l’argomento in maniera completamente
teorica è rischioso e complesso; con l’aiuto dell’esperienza e di test in vasca
navale, sono state formulate metodologie abbastanza empiriche, ma che hanno
dimostrato un buon riscontro con le aspettative.
In ogni caso, tutti i metodi prevedono che il CA sia posto a prua del CRL di
una certa distanza (che di solito si chiama “passo”), che dipende da come si
sono valutate le posizioni dei centri aerodinamici e idrodinamici e dal tipo di
barca a vela che si sta considerando. Per esempio, imbarcazioni larghe, la cui
impronta in acqua a scafo sbandato diviene fortemente asimmetrica, oppure
imbarcazioni a chiglia lunga o con superfici veliche molto allungate o, anche,
imbarcazioni poco rigide alla tela e propense a navigare molto sbandate, sono
tutte caratterizzate dalla necessità di dover prevedere un aumento della
distanza fra CA e CRL rispetto a soluzioni più tradizionali.
Talvolta, tanto per complicare le cose, i progettisti fanno entrare nei loro
calcoli anche i volumi della barca e non solo la superficie laterale,
supponendo (non a torto) che ci sia una interazione diretta nel comportamento
della carena in alcune condizioni, per esempio nel passaggio sull’onda.
Bilanciamento del timone
Bilanciamento del timone
Se il timone non è adeguatamente compensato, può richiedere una eccessiva forza
per essere manovrato o può richiedere una demoltiplica esagerata: patologie che
riducono il piacere e la facilità di conduzione o, nei casi peggiori,
pregiudicano la possibilità di mantenere una rotta voluta. Il momento trasmesso
dall’asse del timone alla barra o ai frenelli è pari alla forza sviluppata
dalla pala del timone moltiplicata per la distanza fra l’asse stesso e il
centro di applicazione della forza idrodinamica CP. Giocando sulla distanza fra
asse e CP si può quindi rendere più o meno duro il comando del timone. La
posizione del centro di pressione CP su una pala del timone dipende fortemente
dal suo allungamento cioè dalla relazione fra corda del profilo e lunghezza
della pala. Più un timone ha una forma in pianta allungata, più il CP si
avvicina al 25% della corda del profilo (vedi figura 1). E’ importante non
posizionare l’asse del timone a poppa del CP poiché si finirebbe con
sovracompensare la pala, innescando una condizione di forte instabilità, un po’
come quando si procede a marcia indietro a forte velocità e basta un accenno
alla rotazione del timone perché questi scappi dalle mani finendo a fondo corsa.
Un metodo per la valutazione del CA e del CRL
Un metodo semplice per la valutazione della posizione del punto di applicazione
della risultante delle forze di resistenza laterali che agiscono su tutta l’
opera viva (CRL) è quello proposto da Nomato e Tatano sullo sviluppo dei lavori
di Gerritsma. Questo metodo, applicabile su imbarcazioni che hanno una deriva a
pinna, valuta il CRL unicamente sulla pianta della deriva, come fosse
prolungata fino alla linea di galleggiamento. Il CRL si trova sull’intersezione
fra la linea orizzontale posta al 45% del pescaggio massimo (sotto al
galleggiamento) con la linea che unisce il punto al 25% della corda locale
della deriva
alla sua estremità con quello al 25% del prolungamento della deriva sulla linea
di galleggiamento. Questo semplice metodo presume che il contributo del timone
e di quello della parte prodiera della carena (di solito meno arrotondata di
quella poppiera e quindi più influente sulla capacità direzionale della barca)
si annullino.
Il centro aerodinamico CA del piano velico è valutato in maniera abbastanza
empirica facendolo corrispondere al centro geometrico della vela come fosse
considerata piana. In realtà, per bassi angoli di incidenza delle vele il CA è
più spostato verso il bordo d’attacco della vela, inoltre, la figura 2 mostra
come il rapporto fra corda e grasso della vela possa contribuire a spostare la
posizione del CA della vela e, di conseguenza, il bilanciamento della barca. L’
ipotesi di posizionare il CA nel centro geometrico al fine della valutazione
del centraggio dà, nella pratica, buoni riscontri a patto di ricavare il centro
geometrico della vela senza considerare l’allunamento di randa e fiocco. Il
centro aerodinamico totale del piano velico è valutato mettendo in relazione i
CA delle singole vele e le rispettive superfici: in questo processo l’eventuale
presenza di mezzana o trinchetta viene stimata sulla metà della loro superficie
effettiva.
La distanza sul piano verticale fra CRL e CA, statisticamente, dovrebbe essere,
per uno sloop armato in testa d’albero, compresa fra il 4 e il 10 per cento
della lunghezza al galleggiamento, mentre per un armo frazionato dovrebbe
essere compresa fra il 3 e il 7 per cento della lunghezza al galleggiamento. Si
deve tener presente che questo tipo di valutazione dà indicazioni di massima
sul corretto centraggio e non certo valori inconfutabili.
La figura 3 mostra un esempio di bilanciamento fatto con questo metodo
semiempirico, dove, nota la distanza i, si ricava la distanza a (e quindi la
posizione del centro velico totale CA) come:
a= (i * SVf)/(SVr + SVf)
dove SVf è la superficie velica della vela di prua, mentre SVr è la superficie
velica della randa.
Nel caso specifico della figura 3, la barca ha un armo a sloop frazionato, una
lunghezza al galleggiamento di 10,98 metri, una randa dalla superficie di 53,8
metri quadrati e un fiocco di 46,2 metri quadrati. Scelta quindi una distanza
fra CRL e CA che sia il 5 per cento della lunghezza al galleggiamento si ha:
i = 3,96 m
a= (i * SVf)/(SVr + SVf)= 1,96 m
Lead = Lg * 0,05= 0,55 m
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