Intervista a Brunello Acampora, il direttore d’orchestra con la matita magica

Al timone di Victory Design, solca la scena più autorevole dello yacht design: dalle imbarcazioni offshore al diporto, da RaceBird a un Bolide da 70 nodi

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Ascoltare Brunello Acampora e confrontarsi con lui riempie il cuore. Non solamente per la sua estrema e vastissima competenza nella progettazione di carene e imbarcazioni di grande fascino e successo, ma soprattutto per quella sua innata signorilità in cui forma (cosa diversa dalla formalità) e sostanza dialogano coralmente, facendo emergere - tanto nella comunicazione verbale quanto nell'espressività dei suoi lavori - un bagaglio di esperienze, concetti e visioni di rilievo e interesse non indifferenti.

Protagonista, da oltre trent'anni, della scena più autorevole dello yacht design, ha dato vita a molti dei progetti più performanti, di successo e spesso dirompenti che solcano i mari. Le sue buone e belle maniere suggellano ogni singolo tratto, forma o calcolo matematico che sia, raccordandosi mirabilmente a quell'idea di estetica capace di esaltare forma e contenuto, stile e funzione. Il suo sapere emerge in tutta la sua portata (ri)percorrendo gli impegni professionali successivi alla formazione alla Yacht & Boat Design Solent University di Southampton che, all'epoca, rappresentava l'unica scelta possibile per un'immediata specializzazione nautica.

«In Italia non esisteva niente di equiparabile alla preparazione garantita da quel corso, che da più di cinquant'anni prepara alla professione di yacht designer. Era un destino tipicamente italico essere messi di fronte a scelte nette: Scientifico o Classico, Ingegneria o Architettura, bianco o nero. Non so se è perchè in Italia abbiamo il Vaticano, ma siamo sempre stati convinti che si debba scegliere anche tra valori, che invece sono conciliabili o addirittura complementari, come bellezza e funzionalità.

Ritenni quindi più attuale frequentare un corso che mirava ad una formazione che conciliasse gli aspetti più tecnici e quelli più formali legati al design nel suo significato anglosassone. In Italia si tende a confonderlo con lo stile puro, la decorazione, mentre è proprio nel nostro Paese che dovrebbe rimandare al concetto leonardiano, all'approccio a 360° che lo yacht designer dovrebbe avere a modello, mirando ad una fusione ideale di Arte e Scienza, due facce della stessa medaglia. La reputo una figura di raccordo tra diverse professionalità, simile a quella di un “direttore d'orchestra” che ha un occhio su tutto, a prescindere da un'eventuale area di specializzazione».

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Un ritratto, probabilmente poco gradito nell'industria, che stimola però una curiosità: quando è che una barca può definirsi una bella barca? «Se il parametro è quello della valutazione degli aspetti estetici e formali, la bellezza viene derubricata all'emotività che l'oggetto riesce a generare. Questa è una visione superata del design, basata sulle teorie americane degli Anni Cinquanta, votate esclusivamente al marketing e alle vendite, i cui numeri sono diretta conseguenza dell'estetica di quell'oggetto e della sua capacità di trasmettere emozioni. Premesso, quindi, che esistono migliaia di declinazioni di bello, tu definiresti mai una persona che esteticamente è molto attraente, ma sostanzialmente priva di valori minimi, una bella persona?

Una barca che naviga male, che non è sicura, che consuma troppo per le prestazioni che offre, che è scomoda, che sbatte o che è bagnata, per quanto possa essere stilizzata dall'industrial designer o dall'archistar dalla mano più felice, per me non sarà mai una bella barca. Il punto non sufficiente, ma essenziale, per cominciare a costruire una bella barca è partire da una piattaforma tecnica valida, aggiornata, idonea alla missione. Non mi vergogno nel dire che anche per disegnare l'alberino su un tre ponti, noi della Victory partiamo sempre dalla carena.

Tutto questo lascerebbe pensare che io consideri lo stile e l’architettura aspetti secondari del progetto, mentre è vero l’esatto contrario e proprio per questo serve un approccio olistico. Molti costruttori pensano di poter coordinare dai loro Uffici Tecnici il contributo di diverse professionalità, ma il cuore del progetto richiede un talento esterno, quello appunto del designer capace di creare e armonizzare il tutto».


Brunello Acampora lo fa tenendo dritta la barra di Victory Design, lo studio di designers, naval architects & marine engineers attivo sin dal 1989, dapprima a Torino e dal 2000 a Napoli. Negli anni si sono aggiunti un ufficio a Londra e una sede produttiva a Pisa che, insieme ai viaggi per lavoro in tutto il mondo, lo “costringono” a una vita in perenne movimento: da Napoli, la sua città, a Londra, dove vive la sua famiglia, a Torino, dove è iniziata la storia di Victory Design, il cui nome è un “tributo” a un grande maestro della progettazione nautica: «Victory Drive era il sistema di propulsione di superficie per catamarani Offshore di Classe 1 progettato da Renato Sonny Levi che, all'epoca, lavorava in stretta sinergia con il cantiere in cui ha avuto inizio la mia attività professionale. Da quella trasmissione era nata una squadra corse, Victory Racing Team, di cui anche io ero tesserato. Da lì l'idea di costituire Victory Design».

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Lo studio, che inizialmente dedica la propria attività all’ideazione di imbarcazioni da competizione che si mettono in evidenza nel campionato del mondo Classe 1 Offshore e nella Venezia-Montecarlo, è tornato anche di recente a occuparsi di extra diporto.

«L'occasione è arrivata dall'incontro con Alejandro Agag e l’esperto Rodi Basso, ideatori e fondatori di E1, primo ed unico campionato mondiale di competizioni con barche a propulsione elettrica approvato dall'Union Internationale Motonautique». Co-creatori di RaceBird (questo il nome del motoscafo monoposto equipaggiato con foil) Brunello Acampora e il suo team insieme agli ingegneri di SeaBird Technologies capitanati dalla designer norvegese Sophi Horne, che ha elaborato il concept dal punto di vista stilistico.

Victory Marine si è circondata dei massimi esperti del mondo foiling, guidati dall'ingegnere italiano Gianmarco Casiraghi, program manager di RaceBird.

«L'agonia della motonautica tradizionale, dovuta alla mancanza di aggiornamento tecnologico e al calo di interesse verso i contenuti che si riuscivano a produrre, richiedeva una rivisitazione totale di questo tipo di competizioni. Forse è presto per dire se sarà questa la formula giusta, anche per i limiti tecnologici attuali legati alla capacità limitata delle batterie, ma il format è senza dubbio innovativo. Prevede che si vada a correre in varie città del mondo, portando l'elettrificazione nei marina ospitanti (le colonnine saranno lasciate in dote alle città sede delle competizioni), un messaggio di sostenibilità attraverso lo sport e l'occasione di fare ricerca e sviluppo tramite lo spettacolo offerto dai RaceBird».

Che genere di spettacolo dobbiamo aspettarci? «Sono stati approntati tracciati sotto costa per consentire al pubblico di seguire tutte le fasi di gara. I piloti dovranno essere molto abili nel saper conservare l'energia disponibile sino al traguardo, per evitare di posizionarsi immediatamente in testa al gruppo, ma di scaricare le batterie a metà percorso. Si è deciso di seguire il mondo dei foilers non tanto per raggiungere velocità molto elevate - stiamo parlando di 40/50 nodi, il limite oltre il quale si assisterebbe alla cavitazione e quindi alla perdita di portanza - quanto per abbattere sensibilmente la resistenza e offrire uno spettacolo unico ed emozionante. Basti pensare al “wow effect” assicurato dall'estetica che fa sì che gli spettatori rimangano incollati allo schermo esattamente come di fronte a un Gran Premio o a un appuntamento del motoGP. Abbiamo quindi cercato di trasferire quell'effetto sorpresa elaborato da Sophi non solo nella realizzazione di un oggetto sicuro, performante e ben costruito, ma anche stimando la capacità di evoluzione di queste imbarcazioni. Mi riferisco alle immagini offerte dalla “scenografia” delle ali secanti in virata, con quella interna che richiama il volo del gabbiano che plana o il piegamento della moto che si inclina sino a sfiorare terra mentre affronta la curva. Tutto questo collegato alla capacità di coppia del motore elettrico e a tracciati ottimizzati per garantire match racing ad alto tasso di adrenalina».

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Insomma, quella che si definisce una bella barca... La vedremo (ritardi nelle consegne permettendo) la prossima primavera: pandemia, boom della nautica e crisi della supply chain hanno imposto un allungamento dei tempi di costruzione per poter salvaguardare livelli qualitativi maniacali.


C'è poi una produzione che sforna, letteralmente, imbarcazioni (open e lobster soprattutto) immediatamente apprezzabili ed è quella a marchio Solaris Power Yachts. «In questo caso il nostro impegno rientra nell'ambito della progettazione conto terzi. Il 90% delle energie riservate al diporto si concentra oggi su Solaris Power, che nell'ultimo anno ha quintuplicato le vendite. Un successo cui contribuiscono più fattori: un mercato buoyant, persone di grandissima esperienza come Giuseppe Giuliani e Luca Neri, capaci di costruire barche molto ben fatte, un grande ufficio tecnico di cantiere, una struttura produttiva e una rete vendita importanti. Il nostro apporto - abbiamo iniziato insieme a Norberto Ferretti, che ci ha coinvolto in questa collaborazione e con il quale avevamo già fatto tutta la gamma delle Dolphin di Mochi Craft - è stato quello di approcciarci al design reinterpretrando, e in questo noi italiani siamo molto bravi, i grandi classici, svilluppandoli e facendoli evolvere sino al punto in cui dell'idea di partenza rimane persino poco, se non l'ispirazione, ma non si tratterà comunque mai di prodotti “neo classici” o “nostalgici”, magari con le maniche a vento cromate... anzi. A decretare il successo di una produzione concorrono tanti aspetti: chi pensa che il prodotto sia tutto credo sbagli, ma è anche vero che senza il prodotto non si raggiungono questi risultati».


La classe non è acqua, ma quando è sull'acqua che si manifesta, la bacchetta del direttore d'orchestra non può che tirare le fila di un coro che incanta all'unisono.

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Quella che non mancherà ai comandi di Bolide 80, nome mai tanto azzeccato volendo rimanere nel terreno fertile delle emozioni evocate. «Sta prendendo forma a Pisa, sarà lo yacht da diporto più veloce al mondo, un 82 piedi realizzato al 100% in fibra di carbonio e costruito interamente da Victory con collaborazioni al livello di Persico Marine per intenderci e di una serie di nostri collaboratori e consulenti coordinati da Eugenio Voltolina. Il progetto nasce dalla rivalutazione della velocità in mare, argomento tabù in un'epoca in cui si parla quasi esclusivamente di dislocanti, bassi consumi, impatto ambientale. Ritengo che la velocità sia un'emozione che non ci possiamo perdere e lo dimostra il successo riscosso dai prodotti richiesti dal mercato nell'ambito, ad esempio, dell'automotive o del motociclismo. La velocità non è il male, diventa semplicemente anti ecologica quando non aggiornata tecnologicamente».

Quale emozione fortissima vivrà l'armatore del primo Bolide? «Quella di viaggiare a ben oltre 70 nodi. Il committente desiderava una barca grande, comoda, sicura e, appunto, velocissima: una Hyperboat. La sfida è stata quella di centrare l'obiettivo garantendo un consumo al miglio tra i più bassi esistenti sul mercato. A 50 nodi brucerà una quantità di carburante pari a meno della metà di quella di un flybridge delle stesse dimensioni. Merito di una costruzione molto leggera full-carbon, di una carena estremamente efficiente e con una grande tenuta di mare - frutto di una messa a punto meticolosa al CFD -, del sistema propulsivo brevettato progettato ad hoc da Flexitab e T Drive, parte del know how del gruppo Victory».

Qualche anticipazione sul fronte design, naturalmente nella sua accezione anglosassone? «Lo stile sarà fortemente ispirato alle Hypercar di matrice italiana e ai grandi carrozzieri, ma con interni molto confortevoli, spaziosi e razionali. Abbiamo coinvolto un'eccellenza del design italiano, Stefano Faggioni, con cui abbiamo condiviso il desiderio di realizzare una barca che fra 50 anni sarà una barca d'epoca pazzesca, dove carbonio, pellami sellati a mano e metallo brunito rappresentino il meglio del Made in Italy in chiave neo-futurista».

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