“I hold that a man should strive to the uttermost for his life’s set prize”
Robert Browing, parole scolpite sulla lapide di Shackleton
Una storia da vertigine, quella della nave che visse due volte.
Proprio come nel capolavoro di Hitchcock, Vertigo, dove Kim Novak interpreta le
bellissime Madeleine e Judy, sirene seduttrici del poliziotto Scottie-James
Stewart, quel solido veliero di quercia che aveva solcato i mari del nord sotto
il nome di Patria, si reinvent...
Introduzione
“I hold that a man should strive to the uttermost for his life’s set prize” Robert Browing, parole scolpite sulla lapide di Shackleton Una storia da vertigine, quella della nave che visse due volte. Proprio come nel capolavoro di Hitchcock, Vertigo, dove Kim Novak interpreta le bellissime Madeleine e Judy, sirene seduttrici del poliziotto Scottie-James Stewart, quel solido veliero di quercia che aveva solcato i mari del nord sotto il nome di Patria, si reinventò come protagonista di due straordinarie esplorazioni in Antartide, la prima, tra il 1897 e il 1899 al comando del barone belga Adrien De Gerlache de Gomery e la seconda, tra il 1914 e il 1917 al comando dell’esploratore irlandese sir Ernest Shackleton. La principessa dei ghiacci cambiò nome una prima e una seconda volta, come una diva che collezionava amori e devozioni, ribattezzata dapprima Belgica e infine Endurance. Il suo diario di bordo conserva tra le pagine i primati della prima spedizione in Antartide di esclusivo carattere scientifico e il primo inverno trascorso nel sesto continente. Alla morsa dei ghiacci riuscì a sfuggire una prima volta tornando intatta il 5 novembre 1899 nel porto di Anversa da dove era partita il 16 agosto 1897. Il secondo abbraccio le fu fatale. Ma andiamo per ordine. Il barone Adrien De Gerlache de Gomery, nato nel 1866 ad Hasselt, in Belgio, emette il primo vagito in una camera affrescata del castello di famiglia, un maniero che ricorda quello descritto da Gautier nel Capitan Fracassa e illustrato da Gustave Doré. Nipote di un ministro, De Gerlache scopre nella biblioteca di famiglia numerosi tomi sulle esplorazioni polari. Ne resta affascinato al punto da abbandonare a diciassette anni l’Ecole Politecnique di Bruxelles per imbarcarsi come mozzo nella Marina di Sua Maestà. Una carriera fulminea, la sua: poco più che ventenne, è già luogotenente. Nel 1891 offre la sua collaborazione allo svedese Nordenskiold che prepara una missione in Antartico, ma non riceve risposta. Non si perde d’animo e inizia a pensare a una impresa che porti la bandiera belga a garrire sulle lande desolate dell’ Antartide. L’impresa si definisce nel 1894: stabilire le forme geografiche dell’estremità meridionale del continente sudamericano e della Terra di Graham, l’immensa punta di quella presupposta Antartide che si estende verso la Terra del Fuoco. De Gomery presenta il progetto all’Accademia delle Scienze di Bruxelles. Il budget è imponente: 800.000 franchi. In quegli anni, il Belgio è impegnato a consolidare la propria presenza in Congo e dedica scarsa attenzione alla proposta del nobile visionario, che apre una sottoscrizione nazionale raggranellando solo 7.000 franchi ma ottenendo un ben più pingue favore popolare, tanto che il Governo ne stanzia 100.000, il Parlamento 60.000, cui se ne aggiungono 133.000 raccolti grazie a parate militari, concerti, conferenze, ascensioni con palloni aerostatici.
15 mesi nell'Antartico
Belgica, 15 mesi nell’Antartico
Accantonato il sogno troppo oneroso di costruire una nave ad hoc, Gomery
ripiega sul Patria, un tre alberi norvegese costruito nel 1884 a Svelvig,
presso Drammen, dal mastro carpentiere Christian Jacobsen, utilizzato come
baleniera. Acquistato per 70.000 franchi, si rivelerà tutt’altro che una
seconda scelta. Con un dislocamento di 244 tonnellate, una lunghezza fuori
tutto di 30 metri e un baglio di 6,5, il Patria alloggia una caldaia ausiliaria
da 35 cavalli e quattro scialuppe.
La chiglia e la prua vengono rinforzate con lamine d’acciaio per resistere alla
pressione dei ghiacci. Il 4 luglio 1896, la nave viene ribattezzata Belgica nel
corso di una cerimonia cui partecipano i rappresentanti della casa reale, del
governo, del Parlamento e dell’Accademia delle Scienze. Nei cantieri
Christensens di Sandefjord si applica al contrabbordo una laminatura di legno e
acciaio; dal corbame alla chiglia viene stesa una fodera in feltro ricoperta di
legno per preservarla dall’attacco dei foraminiferi; lamine di piombo sono
sovrapposte alla ruota di poppa.
Tutta l’opera viva viene dipinta con una miscela ad alto contenuto di rame.
Vengono ricavate due nuove cabine, una caldaia ad alta pressione, capace di 112
kW, prende il posto della vecchia. Il timone e l’asse dell’elica vengono
riprogettati e realizzati con acciai ad alta percentuale di nichel, che
garantisce una maggior resistenza alle fessurazioni da cavitazione. Le prove in
mare confermano la bontà delle modifiche: la nave ha guadagnato in
manovrabilità nonostante l’appesantimento della prua. Si rivelerà una magnifica
compagna d’avventura anche nelle condizioni più difficili.
De Gerlache trascorre l’inverno in Norvegia, allenandosi con gli sci da fondo,
nella conduzione di slitte trainate da cani e testando sacchi a pelo, tende,
lampade e strumenti di rilevazione. Seguendo le indicazioni dell’Accademia
delle Scienze, stila la lista dell’equipaggio, che comprende scienziati di
valore mondiale, quali il geologo polacco Henrsyk Arctowski, il fisico belga
Emile Danco, il botanico e zoologo Emile Racovitza, il medico americano
Frederic Cook. Primo ufficiale è il belga Georges Lecointe. Un giovane
norvegese, Roald Amundsen, si offre per un imbarco gratuito: De Gerlache
accoglierà a bordo con il grado di secondo ufficiale il ventiquattrenne
esploratore che, dopo aver compiuto nel 1911 il Passaggio a Nord Ovest,
determinando la posizione del polo magnetico boreale, conquisterà nello stesso
anno il Polo Sud.
La crew list allinea 19 uomini tra cui Louis Michotte, chef di uno dei più
prestigiosi alberghi di Liegi, in cerca d’avventure. Dopo uno scalo a
Frederikshaven dove vengono imbarcate le strumentazioni scientifiche e 40
tonnellate di viveri stivate in diecimila scatole di latta smaltata, la nave
giunge ad Anversa il 5 luglio dove carica 160 tonnellate di carbone e si
zavorra riempiendo d’acqua 12 cassoni.
La partenza
Il 16 agosto 1897, il Belgica salpa da Anversa.
La nave è sovraccarica e il ponte sovrasta di soli 50 cm la superficie del
mare. Dopo poche ore, un problema alle macchine costringe De Gerlache a una
sosta a Ostenda, dove due uomini chiedono e ottengono di essere sbarcati. De
Gerlache, riparate le macchine, torna ad Anversa, imbarca altri due uomini e
salpa una seconda volta. E’ il 23 agosto. La navigazione in Atlantico è
monotona e senza avvenimenti di rilievo, salvo i festeggiamenti di rito, il 6
ottobre, per il superamento dell’Equatore.
Il tre alberi impiega due mesi per raggiungere Rio De Janeiro dove viene
imbarcato il dottor Cook. Si riparte da Rio il 30 ottobre per fare poi scalo
dall’11 al 14 novembre a Montevideo. Il primo dicembre, la nave getta l’àncora
a Punta Arenas, dove quattro uomini vengono sbarcati per indisciplina.
Dal 21 al 23 dicembre la nave è alla fonda a Ushuaia, poi punta su Lapataia,
per rifornirsi di carbone messo a disposizione dal governo argentino. L’anno
nuovo comincia nel modo peggiore: la nave s’incaglia su uno scoglio sommerso e
rischia di affondare. Raggiunta la base di Hughes, De Gerlache individua un
rilievo sul fondo oceanico che s’innalza verso Sud e, successivamente, calcola
in oltre 4.000 metri la profondità oceanica. Il 20 gennaio 1898 il Belgica
entra nelle acque dell’Antartico e quindi nella baia di Hughes; la notte
australe è in agguato e la spedizione, a causa delle rilevazioni scientifiche,
è in ritardo sulla tabella di marcia. Una tempesta sconquassa l’oceano e causa
la morte per annegamento di un marinaio.
Le isole Brabant, Liegi, Anversa e Wiencke vengono cartografate e così le isole
di Rongé, del Cavaliere di Cuverville, la Baia Charlotte, il capo Reclus e il
canale della Plata.
L’8 febbraio, quando l’avventura pare volgere al termine, De Gerlache cerca il
passaggio ad Est e si ritrova nella baia delle Fiandre dove rileva l’isola
Moureau. Il 12 febbraio ha luogo il ventesimo e ultimo sbarco, dopo tre
settimane trascorse nella baia di Hughes. Nonostante la stagione avanzata, De
Gerlache tenta di proseguire a Sud e, in prossimità della zona dove
Bellingshausen si era imbattuto in una banchisa insuperabile, trova un
passaggio e prosegue in acque mai esplorate prima. Oltre la punta a Sud dell’
isola di Anversa, il Belgica riesce ad aprirsi un varco e supera, il 13
febbraio, il Circolo Polare Antartico, procedendo con la massima allerta.
L'Antartico
Il 23 febbraio raggiunge l’isola Alexandre, ultima terra davanti alla banchisa;
davanti agli occhi di De Gerlache si estende l’infinito continente bianco con
tutte le sue insidie.
Le possibilità di manovra si riducono al minimo ora dopo ora, sinché le acque
si chiudono intorno allo scafo. Il 28 febbraio, forzando le macchine, tenta di
aprirsi un varco dopo aver infranto parte della superficie ghiacciata con
picconi e pale. Inutilmente. Il sesto continente ha carpito il Belgica. Il
punto nave, 71° 26’ S e 85° 44’ O, è un punto fisso sulla carta nautica. Il 2
marzo, il cerchio è chiuso, la trappola è scattata.
Due settimane dopo, la notte polare cala definitivamente, la temperatura
crolla, l’equipaggio sta per affrontare, primo nella storia delle esplorazioni,
un invernaggio presso il Polo Sud.
La nave si trasforma e diventa tana, rifugio, casa, chiesa. Le sue ordinate di
quercia chiudono e riscaldano un piccolo mondo che deve mantenere i propri riti
quotidiani per non perdersi nella notte antartica.
De Gerlache si pone, da subito, il problema di come trascorrere quel tempo
infinito che lo separa dalla buona stagione assegnando ai suoi uomini i compiti
più diversi: sondaggi, rilievi topografici, raccolta di fauna da impagliare,
analisi dell’acqua, rilevazioni del magnetismo e meteorologiche. Lo sci da
fondo è lo sport “obbligatorio” imposto all’equipaggio che deve essere
mantenuto in forma. Il peggio arriva a maggio, nel pieno della notte, quando il
Belgica, insieme ai ghiacci che lo imprigionano, ha raggiunto la latitudine di
71° 36’. Si manifestano i primi sintomi di anemia polare; il dottor Cook
prescrive all’equipaggio una dieta a base di carne di foca e di pinguino, ricca
di proteine e vitamine. De Gerlache giudica il cibo immangiabile ma dà il buon
esempio.
Il perdurare della notte, induce alla depressione: De Gerlache organizza quelli
che potrebbero essere definiti gli antenati dei giochi di ruolo e tornei di
dama, di scacchi, letture commentate dei volumi conservati nella biblioteca di
bordo. La frutta e la verdura in conserva non bastano a contrastare i primi
cenni di scorbuto. Il fisico Emile Danco, amico d’infanzia di De Gerlache,
muore tra le braccia del barone dopo un attacco cardiaco. Due marinai
manifestano crescente disagio mentale e si isolano dalla vita sociale. La
speranza rinasce il 12 gennaio 1899, quando il disgelo apre squarci sempre più
ampi in prossimità della nave. L’equipaggio, munito di sci, racchette ed
esplosivo, apre una via d’acqua percorribile lunga 650 metri, ma il vento muta
quadrante chiudendo la via di fuga per oltre 200 metri.
Il lavoro ricomincia, con pale, picconi, vanghe, dinamite. Mancano ormai solo
30 metri perché la prua rinforzata della nave si imbianchi di schiuma ma
nuovamente il vento cambia rinnovando la beffa. De Gerlache sa che l’equipaggio
non resisterà a un secondo inverno. Le provviste, se razionate, potrebbero
bastare per un altro anno, ma nulla sorreggerebbe il morale dei suoi uomini. Il
15 febbraio, finalmente, il varco si apre, e il Belgica, che ha mantenuto le
caldaie alla massima pressione, avanza metro dopo metro, tirato dalle funi dai
suoi uomini. Dieci chilometri di banchisa separano De Gerlache dalle acque
libere: a turni raddoppiati, lavorando senza sosta per venti ore al giorno, gli
esploratori riescono nell’impresa impossibile, restituendo lo scafo alla
libertà il 14 marzo 1899 dopo 13 mesi di prigionia e una deriva di 1.700
miglia.
Il 28 marzo il Belgica getta l’àncora nella rada di Punta Arenas dopo aver
superato, tra mille difficoltà, il Canale di Cockburn. Il 14 agosto, salpa da
Buenos Aires per Boulogne sur Mer dove giunge il 30 ottobre. Il 5 novembre
1899, l’arrivo ad Anversa nel tripudio della folla.
Nonostante la perdita di due uomini e il grave stato mentale di altri due, la
spedizione ha avuto un esito trionfale: oltre alle numerose osservazioni,
rilevazioni, analisi compiute, oltre alla “conquista” virtuale di zone mai
raggiunte prima, De Gerlache è tornato in Belgio con un primato: la sua è la
prima spedizione a carattere esclusivamente scientifico ad aver trascorso l’
inverno in Antartide.
Nel 1901, il barone dà alle stampe Quindici mesi in Antartico, circostanziato e
appassionato diario di bordo, un raro esempio di rigore scientifico e di
capacità narrativa, per poi dirigere una serie di ricerche zoologiche nel Golfo
Persico. La vita a terra non fa per lui: contattato dall’esploratore Jean
Charcot, che progetta una spedizione in Antartide, gli mette a disposizione
tutto il suo “layout” per poi imbarcarsi, nel 1903, a bordo del Pourquoi Pas?
salvo poi sbarcare a Buenos Aires a metà novembre per raggiungere la giovane
fidanzata.
Tra il 1905 e il 1909 conduce studi oceanografici sulla costa Est della
Groenlandia, a Nord della Scandinavia e nei mari di Barents e Kara.
De Gerlache morirà anni dopo, di febbre tifoidea, il 4 dicembre 1934.
Shackleton
Shackleton e l’Endurance
Un altro esploratore, l’irlandese Ernest Shackleton, chiede la sua consulenza
per stendere il progetto di una spedizione in Antartide, la British Imperial
Trans-Antarctic Expedition. De Gerlache porta Shackleton sul Belgica. Il tre
alberi è ancora magnifico e in apprezzabili condizioni. L’irlandese l’acquista
per la solidità della costruzione e per il buon esito dell’impresa che l’ha
resa famosa.
La ribattezza Endurance. Siamo al primo agosto 1914: l’Endurance è pronta a
salpare dal porto di Plymouth diretta verso l’Antartide per una spedizione
esplorativa, ma di lì a tre giorni, l’Inghilterra è in allarme, alle soglie
della Grande Guerra: mobilitazione generale.
A capo dell’impresa, Ernest Henry Shackleton, irlandese tutto d’un pezzo,
coraggioso veterano dei ghiacci, già a leale seguito di Robert Scott nel 1901,
volge immediatamente il servizio della nave alla Marina, ma Churchill, con
britannica imperturbabilità, risponde con un laconico, incontestabile
“Proceed”. Partenza l’8 agosto in direzione Buenos Aires, e poi prua sull’isola
di South Georgia. Shackleton guida ventotto uomini che hanno risposto a un
annuncio pubblicato dall’irlandese su un giornale di Londra, alla ricerca di
equipaggio per la sua Imperial Trans-Antarctic Expedition; il comandante è il
neozelandese Frank Worsley, uomo rispettato e capace, a dispetto di una certa
eccentricità che lo porterà a dormire sul pavimento del corridoio, ritenendo
troppo soffocante l’ambiente della sua cabina.
A bordo sale anche il fotografo australiano Frank Hurley, soprannominato “il
principe” per la sua sensibilità all’adulazione, cui si devono le immagini
memorabili della spedizione e Perce Blackborow, clandestino uscito allo
scoperto solo in mare aperto; Shackleton ne fa uno steward, apprezzando l’
intraprendenza del giovane. Percorrendo a ritroso le gesta del capo-spedizione,
si svela un passato già ricco di esperienze: nel dicembre 1902, sulla nave
Discovery, Scott, Shackleton e Wilson arrivano a 400 miglia dal Polo Sud, il
punto più meridionale raggiunto fino al quel momento; nel marzo 1907, organizza
un viaggio con partenza dalla Nuova Zelanda nel 1908. Acquistata una nave
adibita alla caccia delle foche, approda a Londra a metà giugno e ottiene dalla
stessa regina la bandiera britannica da portare con sé. Intrapresa l’avventura,
la nave entra nel Mare di Ross il 16 gennaio 1908, rimanendo poco dopo
intrappolata nel ghiaccio: da bordo viene sbarcata un’automobile, la prima a
toccare il continente antartico.
Tra varie peripezie, la spedizione nel gennaio 1909 si spinge a sole 97 miglia
dal Polo, dovendo tuttavia rientrare per carenza di viveri. Nel dicembre 1911
sarà il norvegese Amundsen ad arrivare al Polo, seguito immediatamente da Scott
nel gennaio 1912; Shackleton allora medita una nuova impresa, attraversare il
continente antartico con un percorso di 2.000 miglia.
E qui si ritorna ai nostri ventotto uomini, accompagnati da sessantotto cani.
Un déjà-vu: anche l’Endurance, nelle acque del Mare di Weddel, è preda dei
ghiacci: dal gennaio 1915 vive un’agonia di mesi, per “morire” poi nel novembre
dello stesso anno, frantumata dall’enorme pressione dei ghiacci che l’aveva
risparmiata molti anni prima, quando era al comando del barone De Gerlache.
Prima dello schianto, la nave ha recitato una seconda volta il suo ruolo di
“domus” per gli uomini che ha trasportato in Antartide, non guscio di legno
nella landa desolata dell’Antartide, ma terra e panorama amico, musa e amica.
Il percorso della spedizione tra il 1914 e il 1916.
L’equipaggio, a cui rimangono tre piccole imbarcazioni, passa cinque mesi sulla
banchisa galleggiante, riuscendo poi a raggiungere Elephant Island, monolocale
di roccia e ghiaccio in coabitazione con foche e pinguini. Qui il povero Perce
perde le dita del piede sinistro, aggredite dal gelo. Shackleton non si perde d’
animo e insieme a cinque uomini, un sestante, una bussola prismatica, un
binocolo, carte nautiche, fede e speranza, salpa con la James Caird (una
scialuppa di soli 22 piedi, poco più di 6 metri) in cerca di soccorsi, rotta
per l’isola di South Georgia, a 800 miglia.
Lo sparuto equipaggio è composto dagli irlandesi Tom Crean, secondo ufficiale,
e Tim McCarthy, marinaio, dal carpentiere scozzese Henry McNeish, dal forzuto
nostromo John Vincent e dal capitano Worsley, che definirà McCarthy “il più
irrefrenabile ottimista che abbia mai incontrato”. Un caso che proprio McCarthy
sia il primo a scorgere il profilo di South Georgia? A terra, dopo aver
sofferto fame, sete, temuto onde giganti e rischiato il naufragio sugli scogli,
i sei devono arrancare ancora tra neve e ghiaccio, fino alla stazione baleniera
di Stromness, da cui parte l’organizzazione del salvataggio dei rimanenti
uomini, rimasti a Elephant Island. Dopo quasi quattro mesi ed altrettanti
tentativi, Shackleton recupera l’equipaggio con il rimorchiatore cileno Yelcho:
è il 30 agosto 1916 e tutti sono sopravvissuti.
Un secondo viaggio, in dicembre, vede Shackleton sull’Aurora a Capo Royds,
altro versante dell’Antartide, per riprendere a bordo la parte della spedizione
insediata presso il Mare di Ross.
L’ultima impresa dell’indomabile esploratore ha come palcoscenico la Quest,
anno 1921; un attacco di cuore però lo stronca nel gennaio 1922 a Grytviken,
nella Georgia del Sud, a progetto appena iniziato. La sua tomba è lì, per
volere della moglie.
Grazie all’equipaggio della Quest una croce svetta anche a King Edward Point,
dall’altra parte della baia dove si trova il cimitero.
Dell’irlandese e della sua splendida avventura di vita rimane molto nella
memoria e nel 1999 un gruppo di studio ne ha ricalcato il percorso in
Antartide; sul versante artistico, in Last summer dance di Franco Battiato,
2003, è contenuto un tributo all’”audace capitano” e nel 2001 è stato
realizzato il documentario Shackleton’s Antarctic Adventure, con voce narrante
di Kevin Spacey.
Ritratto notturno della Endurance del fotografo Hurley
E nei ricordi tangibili, tra cui la scialuppa James Caird, custodita al Dulwich
College di Londra, sede della James Caird Society, fondata nel 1994. Le parole
del poeta Robert Browing, fatte pietra dietro la lapide di Shackleton, recitano
I hold that a man should strive to the uttermost for his life’s set prize,
"penso che l’uomo dovrebbe sforzarsi di raggiungere il limite predestinato
quale scopo della sua vita".
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