12 November 2007

L'esploratore dimenticato

Tom Crean sembrava destinato a diventare un anonimo contadino irlandese. Era nato il 20 luglio 1877 a Gurtuchane, uno sperduto paesino della Contea di Kerry, e molto probabilmente avrebbe condiviso il destino degli altri nove fratelli se a quindici anni, barando sull’età, non si fosse arruolato nella Royal Navy. L’unico oggetto che si portò via dal paese natìo era uno scapolare, ossia un oggetto devozionale tipicamente cattolico da tenere appeso al collo, composto...

Introduzione

Tom Crean sembrava destinato a diventare un anonimo contadino irlandese. Era nato il 20 luglio 1877 a Gurtuchane, uno sperduto paesino della Contea di Kerry, e molto probabilmente avrebbe condiviso il destino degli altri nove fratelli se a quindici anni, barando sull’età, non si fosse arruolato nella Royal Navy. L’unico oggetto che si portò via dal paese natìo era uno scapolare, ossia un oggetto devozionale tipicamente cattolico da tenere appeso al collo, composto di due pezzi di stoffa cuciti insieme in modo da formare una tasca in cui riporre il testo di una preghiera. Crean non lo avrebbe mai abbandonato, e quel pezzetto di stoffa avrebbe più volte visto i ghiacci dell’Antartico. Tra il 1893 e il 1900 la carriera di Crean non ebbe nulla di particolarmente insolito: il futuro esploratore si imbarcò come mozzo e passò di nave in nave fino a trovarsi, nei primi giorni del nuovo secolo, imbarcato sulla torpediniera Ringarooma diretta verso la Nuova Zelanda. Aveva 22 anni, e la sua vita stava per cambiare radicalmente. In Inghilterra infatti l’ammiraglio Markham stava già organizzando quella che sarebbe stata la «Spedizione Nazionale Britannica verso l’Antartide», più nota come «Spedizione Discovery» dal nome della nave scelta per trasportare gli uomini e i materiali verso il cosiddetto Mare di Ross, la profonda rientranza delle terre antartiche rivolta verso il Pacifico. A capo della spedizione c’era Robert Falcon Scott, un giovane ufficiale della Royal Navy; a bordo c’era anche Ernest Shackleton. La Discovery, stracarica come sempre erano le navi delle spedizioni polari, fece il giro di mezzo mondo per fare tappa in Nuova Zelanda prima del balzo finale, e qui si compì il destino di Crean. L’Ammiragliato infatti aveva ordinato alla Ringarooma di prestare ogni possibile assistenza alla spedizione: il caso volle che un marinaio della Discovery disertasse (sembra dopo aver picchiato un ufficiale) e che Scott chiedesse al capitano della torpediniera un rimpiazzo. Crean aveva già ampiamente dimostrato le sue qualità sia come marinaio sia come compagno di bordo: si offrì volontario, fu accettato e la sua vita cambiò per sempre.

Il viaggio della Discovery

Il viaggio della discovery Le spedizioni inglesi di quella che viene un po’ pomposamente chiamata «l’epoca eroica delle esplorazioni polari» erano organizzate in modo molto dilettantesco. In realtà solo tre persone sulla Discovery avevano esperienza di questo ambiente ostile (erano lo scienziato Louis Charles Bernacchi, di origini italiane, il tenente Albert Armitage e il medico Reginald Koettlitz); quasi tutti gli altri provenivano dalla Marina militare e anche per questo a bordo regnava una rigida disciplina, che obbligava tra l’altro i marinai a lavare i ponti tutte le mattine anche con temperature di molti gradi sotto lo zero e a mangiare sempre e rigorosamente in locali separati dagli ufficiali. L’8 gennaio 1902 fu avvistata l’Antartide; un mese dopo la spedizione raggiunse lo stretto di McMurdo, ai piedi del vulcano Erebus, e qui Scott decise di porre il campo dove trascorrere l’inverno artico. Le escursioni sulla terraferma iniziarono nel novembre dell’anno successivo: Crean fu scelto spesso per partecipare a queste esplorazioni, ma non era con Scott quando questi iniziò il suo viaggio verso il Polo Sud in compagnia di Wilson e Shackleton. I tre dovettero fermarsi a 768 km dal Polo, a 82° e 11’, e il loro viaggio mise in luce le difficoltà e gli errori comuni a tutte le spedizioni inglesi: non si era curata né la preparazione sugli sci né la guida dei cani, ed era stato scelto un metodo (far trainare le slitte dagli uomini) arcaico e troppo defatigante. Inoltre Scott per trasportare più carico procedeva con uno strano sistema di avanti e indietro (prima faceva portare una parte del carico, poi tornavano indietro, caricavano il resto e procedevano di nuovo in avanti) che li obbligava a fare il triplo del percorso. Infine anche l’ alimentazione era inadeguata in quanto eccessivamente carente di vitamine, e gli uomini rischiavano dopo qualche mese di ammalarsi di scorbuto. Una volta tornati alla base, comunque, Scott e gli altri dovettero aspettare un altro anno prima che i ghiacci si aprissero lasciando ripartire la Discovery.

Spedizione Imperiale Antartica

Spedizione Imperiale Antartica Quando Crean tornò in patria con Scott nel 1904 scoprì che la propria posizione sociale era molto migliorata: da sconosciuto marinaio era entrato nel ristrettissimo club di esploratori polari. Aveva inoltre dimostrato un grande entusiasmo, una notevole capacità di adattarsi all’ambiente polare, una straordinaria resistenza fisica che lo metteva in grado di svolgere ottimamente il lavoro di trainare le slitte e infine era sempre di buon umore e non si lasciava mai impressionare dalle situazioni. Da questo punto di vista era l’ esatto opposto di Scott, taciturno e introverso. Questi aveva però riconosciuto le qualità dell’irlandese e già nel 1906 fece in modo che Crean (che nel frattempo era tornato al servizio in Marina) venisse trasferito sotto il suo comando sulla Aberlmarle, dove Scott era Flag captain, ossia ufficiale di bandiera. Scott in realtà stava già pensando alla nuova spedizione polare, sollecitato anche dalla notizia che Shackleton, con un nuovo e autonomo tentativo, era arrivato ad appena 155 km dal Polo Sud e dal fatto che pure il norvegese Amundsen stava progettando un viaggio per raggiungere il Polo. Ormai era una gara aperta. Nel giugno del 1910 Scott partì, a bordo della Terra Nova, e Crean era con lui. Il 4 gennaio 1902 la spedizione sbarcò in Antartide e cominciò immediatamente a costruire la capanna che sarebbe stata il campo base. Il progetto prevedeva questa volta di creare tre depositi intermedi tra la base e il Polo Sud, in modo che la spedizione potesse rifornirsi nel viaggio di ritorno e viaggiare meno carica. Scott intendeva usare delle motoslitte, dei cani e soprattutto dei pony per trainare le slitte con i viveri, ma tutte queste opzioni si dimostrarono fallimentari: i motori non riuscivano a funzionare, i cavalli non erano adatti al clima e i cani erano pochi. Inoltre Scott era troppo sensibile verso le sofferenze degli animali e si rifiutava di uccidere i cani più deboli per nutrire gli altri, come faceva Amundsen. Per risparmiare la fatica agli animali, il grande deposito di viveri chiamato «One Ton», che sarebbe dovuto servire come punto di appoggio nel viaggio di ritorno, fu montato 48 km più a nord del punto previsto: per ironia della sorte, Scott sarebbe morto nel viaggio di ritorno a soli 18 km da questo magazzino che probabilmente gli avrebbe salvato la vita. L’esperienza di Crean si dimostrò preziosa in molte occasioni. Un giorno, durante un normale viaggio di trasferimento, lui e altri due compagni che erano al primo viaggio in Antartide si trovarono sulla banchisa su una zona di ghiaccio instabile. Crean suggerì di proseguire per raggiungere un ghiaccio più solido: l’ufficiale in comando invece ordinò di accamparsi. Nel cuore della notte il ghiaccio si ruppe e i tre si trovarono su una lastra di ghiaccio lunga nove metri alla deriva, circondati dalle orche che si affollavano nei passaggi tra i ghiacci. Gli uomini riuscirono a saltare su una lastra vicina e poi su un’ altra ancora: quando riuscirono ad avvicinarsi abbastanza a riva Crean usando una racchetta da sci si arrampicò sul ghiaccio e tornò al campo base per chiamare aiuto, salvando gli altri. Ecco il resoconto molto british del suo arrivo, redatto da un altro esploratore: «Era molto stanco, praticamente stremato e avevo paura a chiedergli che cosa fosse accaduto agli altri. Poi con molta titubanza provai a chiedere notizie e lui mi rispose, sicuro: “Tutto bene, signore”. La risposta fu incoraggiante ma, sfortunatamente, dopo ulteriorindagini, fu chiaro che non era affatto vero che andasse tutto bene». Agli inizi dell’inverno australe, l’8 maggio, Scott rese noti i suoi piani per la conquista del Polo Sud: tra andata e ritorno gli uomini della spedizione avrebbero dovuto percorrere a piedi 2.896 km in 84 giorni, trainando ciascuno circa 80 kg di peso. I mesi trascorsero nei preparativi finché il 1° novembre 1911 il gruppo composto da Scott e undici compagni partì per il suo tentativo. Tra loro c’era anche Tom Crean. Anche se nessuno degli inglesi poteva saperlo, quello stesso giorno Amundsen, partendo da una base a diverse centinaia di km da quella inglese, aveva già 320 km di vantaggio su di loro e usando le mute di cani avanzava a una media di 40 km al giorno, contro i 15 degli inglesi: la gara per il Polo era già perduta. Mentre gli inglesi si affannavano per tirare a mano le slitte sul grande e pericoloso ghiacciaio Beardmore, il 14 dicembre Amundsen arrivò al Polo Sud e vi piantò la bandiera norvegese. Scott voleva scegliere gli uomini che lo avrebbero accompagnato al Polo strada facendo, in modo da far cadere la scelta su quelli più in forma: il 20 dicembre rimandò indietro una squadra di quattro esploratori e il 3 gennaio annunciò che avrebbe proseguito solo con quattro compagni, mentre gli ultimi tre membri della spedizione avrebbero dovuto tornare indietro. Tom Crean era tra questi, insieme a Lashly e Teddy Evans, che essendo l’unico ufficiale assunse il comando. Mentre il gruppo di Scott andava verso il proprio destino, gli altri tre uomini erano impegnati in una corsa altrettanto drammatica verso la salvezza, e fu subito chiaro che solo Crean era in buone condizioni fisiche. Il tempo peggiorò rapidamente e avanzare divenne sempre più difficile. Il 13 gennaio i tre si persero e scoprirono di essere alle cosiddette Shackleton Ice Falls, una lunga colata di ghiaccio che sovrasta per 600 metri il ghiacciaio Beardmore. Il tempo stringeva e non si poteva cercare un’altra strada: Evans ordinò di salire tutti sulla slitta che trasportava i loro viveri e si lasciarono scivolare giù per la vertiginosa discesa. Crean tentò di opporsi: «Il capitano Scott non avrebbe mai fatto una cosa così dannatamente stupida», al che Evans rispose: «Il capitano Scott non è qui, quindi tutti a bordo!» e si gettarono giù in una folle corsa, senza neppure vedere dove stavano andando. Più tardi Evans ammise: «Non sono affatto in grado di spiegare come facemmo a uscirne del tutto illesi». Qualche giorno dopo, per superare un immenso crepaccio, i tre dovettero usare un ponte di neve «sottile come una I, la I di Inferno», come commentò Crean, ma ce la fecero ancora una volta. Le condizioni di Evans però peggioravano, insieme al meteo, mentre le razioni calavano. Il 18 febbraio sembrò che tutto fosse perduto, per quanto il gruppo si trovasse a soli 56 km dal campo base: i viveri erano finiti ed Evans ormai da tempo non si reggeva in piedi. Crean allora si offrì volontario per andare a cercare aiuto: solo, senza bussola, senza tenda, senza sci, con in tasca solo tre gallette e due tavolette di cioccolato camminò ininterrottamente per 18 ore prima di raggiungere il campo base, dare l’allarme e salvare così i compagni. Per quanto questa marcia venga considerata una delle più straordinarie nella storia delle esplorazioni polari, Crean si limitò più tardi a commentare in una lettera: «Sono riuscito a fare questo numero grazie alle mie gambe lunghe. Ma devo ammettere che alla fine ero proprio stanco morto».

Un carattere tenace

«Crean è completamente felice, pronto a fare qualsiasi cosa e ad andare ovunque: più l’impegno è duro, meglio è. Evans e Crean sono grandi amici. Lashly è sempre lo stesso in ogni senso, con una grandissima voglia di lavorare, tranquillo, sobrio e determinato. Evidentemente dispongo di una buona squadra e sarà dura per loro se il successo non coronerà i nostri sforzi». (Dal diario di Scott, prima della partenza verso il Polo Sud).

L'ultima spedizione con Shackleton

Il resto è storia nota. Scott raggiunse il Polo Sud il 17 gennaio, ma lui e i suoi compagni morirono uno a uno sulla via del ritorno. I loro corpi furono trovati solo il 12 novembre successivo, quando fu possibile organizzare una spedizione di ricerca: ne faceva parte anche Crean e anzi fu lui ad avvistare la tenda in cui si trovavano i cadaveri, congelati e mummificati. Scott in patria divenne un eroe, sia pure postumo. Crean tornò per qualche tempo in Marina, sempre con il suo grado di sottoufficiale, ma di nuovo la voce dell’Antartico si fece sentire quando Shackleton organizzò la «Spedizione Imperiale Transantartica» per attraversare a piedi tutto l’Antartico. I due si conoscevano dai tempi della Discovery: Shackleton apprezzava il valore di Crean e Crean stimava Shackleton. La spedizione, si dice, fu pubblicizzata con il seguente annuncio: «Cercasi uomini per viaggio pericoloso. Paga bassa, freddo terrificante, lunghi mesi di completa oscurità, rischio costante, possibilità di ritorno incerte. Onori e riconoscimenti in caso di successo», che provocò un’ ondata di almeno cinquemila richieste. Shackleton li divideva in «pazzi», «senza speranza» e «possibili». Naturalmente non era il caso di Crean, che fin dall’inizio faceva parte del gruppo dell’esploratore. La Endurance, la nave scelta per il viaggio, partì appena prima che la prima Guerra Mondiale scoppiasse, ma la spedizione, arrivata in Antartide, incontrò subito gravi ostacoli. Il ghiaccio quell’anno si era spinto molto più a nord del solito, e il 19 gennaio 1915 si strinse intorno all’Endurance quando si trovava ad appena 80 miglia dalla costa imprigionandola senza speranza. Peggio ancora, il pack trascinò nei mesi successiva la nave su un percorso a mezzaluna nel Mare di Weddell e infine la frantumò, facendola affondare. Shackleton fece sbarcare gli uomini sul pack e, trascinando tre scialuppe sui ghiacci, percorsero 1.500 km fino a Elephant Island, l’ultima isoletta dell’Antartico prima dello Stretto di Drake. Ma non era ancora finita. Per quanto il gruppo avesse portato con sé tutto quanto era possibile, si trovava a migliaia di chilometri da dove avrebbe dovuto essere: nessuno sarebbe venuto a cercarli. Shackleton decise di usare una delle scialuppe, ribattezzata James Caird dal nome di uno dei finanziatori dell’impresa, per raggiungere la Georgia del Sud e dare l’allarme. Shackleton, che aveva un grande istinto nel scegliere gli uomini giusti, prese con sé Crean e insieme ad altri quattro compagni partì il 24 aprile 1916 per quello che sarebbe diventato uno dei più straordinari viaggi per mare. La scialuppa, lunga otto metri, era stata rinforzata alzandole le falchette e ricoprendola con una tela impermeabile. Tuttavia era priva di cabina e gli uomini durante i turni di riposo sotto il riparo di tela avevano la sensazione di essere sepolti vivi, anche perché era stata imbarcata una zavorra supplementare composta di sassi aguzzi. Per fare da mangiare il fornello doveva essere tenuto fermo con le gambe e con le mani, che spesso erano quelle di Crean e che si ricoprirono di bruciature. Nonostante tutto la scialuppa riuscì a superare le tempeste dell’Oceano Artico (il vento raggiunse più volte la forza di uragano), sopravvivendo anche a un’ onda anomala che la investì il 5 maggio. Tre giorni dopo fu avvistata la Georgia del Sud. «Il sentimento dominante era: “Ce l’abbiamo fatta”» scrisse poi nelle sue memorie uno degli uomini dell’equipaggio: ma non era ancora finita. Avevano toccato terra dalla parte sbagliata dell’isola, rompendo il timone, e quindi Shackleton dovette partire a piedi con due compagni per superare la catena montuosa che divide in due l’isola. Ancora una volta scelse Crean e ancora una volta il solido irlandese diede il suo decisivo contributo alla riuscita dell’impresa. Il 20 maggio 1916 i tre raggiunsero finalmente la base baleniera di Stromness, da dove partirono poi i soccorsi anche per gli uomini rimasti a Elephant Island. Tornato in patria, Tom Crean riprese servizio in Marina (la guerra era in corso). Nel 1919 ebbe però uno stupido e rischioso incidente, cadendo nel pozzo delle catene riportando ferite in diverse parti del corpo che giustificarono le sue dimissioni. Sposò una donna del suo paese, e mise su un pub, che inevitabilmente chiamò «South Pole Inn» (Taverna Polo Sud). Ebbe tre figlie, e non partecipò a nessun altra spedizione. Morì nel suo letto, per un’appendicite curata male, il 27 luglio 1938.
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