Mylius 60 Canting Keel, in arrivo la "bestia" dell'armatore Guido Paolo Gamucci

Arrivato alla decima esperienza da armatore, Guido Paolo Gamucci ha scelto Mylius per quella che definisce l’apoteosi delle sue barche: un 60 piedi full carbon con chiglia basculante e prestazioni da urlo. Sogna di vincere la Giraglia, partecipare al Fastnet e attraversare l’atlantico
Mi sono innamorato del cantiere Mylius quando mi hanno dato retta! È la risposta più significativa della lunga intervista a Guido Paolo Gamucci, armatore da anni sui podi dei più prestigiosi campi di regata internazionali.
Lo abbiamo incontrato a Milano, al cospetto delle Tre Torri di CityLife per parlare del suo nuovo 60’ con canting keel. Una barca speciale, perché non è la versione performance del Mylius 60 standard da crociera. Il cantiere ne ha infatti ottimizzato il progetto in ottica race e ricostruito lo stampo partendo da zero. Il varo di Cippa Lippa (rendering a lato), questo il nome di tutte le barche di Gamucci, è previsto nel corso dell’estate. E allora iniziamo proprio dalla domanda che ha suscitato tale risposta.
Perché ha scelto Mylius per la sua decima barca?
«Quando regatavo con il mio vecchio Cookson 50 avevo parlato con il cantiere neozelandese per fare un modello più grande, visto il successo di quel 15 metri. Ma non sono riuscito a convincerli. Così un giorno di un paio d’anni fa ho pensato a Mylius, li avevo visti diverse volte in regata e alcuni membri del mio equipaggio avevano corso con il loro 50. Mi piacevano le barche e come erano costruite, inoltre l’accoppiata Gandini/Simeone (proprietario del cantiere e progettista, n.d.r.) mi sembrava funzionasse bene, era un gruppo affiatato e ricco di entusiasmo. Così ho deciso di affidarmi a loro».
Come è nata l’idea di rifare lo stampo?
«All’inizio abbiamo esplorato la possibilità di adattare al mio programma race il 60’ da crociera, ma non funzionava, anche perché insistevo su alcune soluzioni per me imprescindibili, come la canting keel. Man mano che parlavamo anche loro si sono innamorati del concetto “cippalippesco”, tanto che un giorno mi ha telefonato Simeone per propormi di realizzare uno scafo completamente nuovo. Evidentemente sono convinti della bontà del progetto e del potenziale successo».
Ci spiega il concetto “cippalippesco”?
«Questa è la mia decima esperienza come armatore ed è appunto l’apoteosi delle mie idee ed esperienze. Tanto che, probabilmente, la barca si chiamerà The Ultimate Cippa Lippa. Ho iniziato da ragazzo con un Mini Tonner in società con altri due amici per poi passare a barche come il Cookson 50 e il Ker 40. Tutto ruota intorno alla chiglia basculante, un gran vantaggio per avere velocità di punta eccezionali al lasco. Ma dove dà il meglio di sé è in crociera: la barca sta mediamente più dritta e fino a 15 nodi non c’è bisogno che l’equipaggio si metta in falchetta a bagnarsi, quando si naviga in pochi è un’altra vita».
Quindi andrà anche in crociera?
«Certo, e per una barca da regata che deve anche navigare in crociera la chiglia basculante è irrinunciabile. Ci sono ancora molte rotte che sogno: arrivare a Madeira, spingermi oltre il Peloponneso, tornare in Adriatico dove non vado da tanti anni e attraversare l’Atlantico. Credo che questa sia finalmente la barca giusta per farlo, anche perché sarà l’ultima! Quindi ora o mai più. Mia moglie è peggio di me, non ama l’atmosfera delle regate, ma una volta partita in crociera non toccherebbe più terra».
Allora questo Mylius è una barca da regata o da crociera?
«A seconda del cappello che metti non sai più quali decisioni prendere. L’importante è che abbia moltissimi cavalli, quindi pesi concentrati, baricentro terribilmente basso e dislocamento contenuto (circa 14,5 tonnellate contro le 17 della standard n.d.r.). Stiamo lavorando sui certificati di stazza per avere un rating decente. Dopodiché, quando costruisci una barca del genere vorresti anche farci una crociera comoda, quindi il compromesso diventa un disastro. È per questo che abbiamo creato due configurazioni diverse, ci vorrà un po’ di lavoro per passare da una all’altra, ma credo che con un po’ di abitudine e due persone in una giornata si farà quasi tutto».
Cosa cambia tra la due configurazioni?
«Ad esempio lo strallo di prua: ne avremo uno da crociera avvolgibile per il genoa e uno più a prua da regata, senza avvolgitore, per guadagnare circa 30 cm di J (misura la base della vela di prua, n.d.r) e useremo i garrocci. Poi avremo un bompresso da crociera con musone per l’àncora e uno da regata più lungo e leggero, senza àncora. Monteremo una randa da crociera full batten in taffetà, più piccola di quella da regata e senza testa quadra, il boma avrà un sistema park avenue ed easyjack smontabili e due paterazzi a poppa, che in crociera saranno fissi. La plancetta di poppa a ribalta sarà smontabile, al suo posto fisseremo un pannello di carbonio per tappare il buco e lasceremo a terra il tender».
E riguardo agli impianti?
«Per il sistema idraulico abbiamo previsto due pompe, la prima servita dal motore acceso ed è quella che darà le massime prestazioni in regata per gestire i winch. La seconda è invece elettroidraulica e funziona con le batterie dei servizi, la useremo nelle situazioni più comode dove non serve accendere il motore. La barca ha un Volvo da 75 cv, il massimo disponibile con la trasmissione saildrive. Avrei preferito un 110 cv, ma non ho avuto scelta. Faremo otto nodi invece di dieci, poco male. Non sono certo un armatore che accende il motore come fa il 95 per cento delle persone».
Anche gli interni cambieranno pelle?
«La barca dovrà piacere e avere successo, stiamo quindi pensando agli interni più di quanto interessi realmente a me, ma per il cantiere è importante che sia bella anche dentro. La mia esigenza è stata rendere la cabina armatoriale facilissima da smontare e trasformarla nella cala vele per spi e gennaker, facili da raggiungere e issare».
Quali performance si aspetta?
«I primi risultati dei VPP (Velocity Prediction Program, software che analizza le performance di un progetto in varie condizioni di navigazione n.d.r.) sono entusiasmanti e non vedo l’ora di sapere se riuscirà ad avere davvero quelle prestazioni. Il Cookson 50 andava più forte dei suoi VPP, quindi mi aspetto che anche questa farà meglio, soprattutto con vento forte. Con il Cookson ho toccato 31 nodi, con il Mylius i 35 non dovrebbero scapparmi!»
Con poco vento come si comporterà?
«Simeone ha lavorato a lungo per studiare le appendici, in particolare il miglior rapporto tra la superficie della deriva e quella del canard (appendice retrattile di prua utilizzata sulle barche con chiglia basculante per creare portanza e contenere lo scarroccio quando la chiglia è basculata n.d.r.). Considerate le regate a cui parteciperemo e le condizioni meteo tipiche, che spesso prevedono poco vento, probabilmente la soluzione ideale è avere la minor superficie bagnata possibile, quindi una chiglia dalla superficie ridotta. Con poco vento e la chiglia in posizione tradizionale, cioè non basculata, navigheremo con il canard sollevato, in virata però dovremo prima abbassarlo per creare portanza (perché la chiglia è “piccola” n.d.r.), virare e poi risollevarlo. Complicazioni a cui siamo abituati da anni e anni di prove con il Cookson 50».
Chiglia e canard, quali accortezze tecniche avete sviluppato?
«La chiglia avrà un’inclinazione positiva dell’asse di bascula di 2°, un valore capace di fornire un certo effetto di sollevamento della prua, utile con vento forte e onde. Lasciarla a 0° non era possibile, perché avrebbe creato una portanza negativa in discesa dall’onda, allo stesso modo aumentarla fino ai 6°, come le chiglie degli Imoca 60, sarebbe stato un freno troppo elevato. Loro possono permetterselo perché filano a 30 nodi per settimane intere. Per il canard stiamo invece studiando la possibilità di farlo ruotare di 6°. Mi sarebbe piaciuta una chiglia basculante e sollevabile (canting keel lifting, n.d.r), ma è carissima e non ne capisco il motivo. Insieme ai foil credo sia la soluzione del futuro».
A proposito di foil, le piacciono le nuove barche di Coppa America?
«Sono curioso di vedere se staranno in piedi. Mi piacciono più le nuove barche dei vecchi catamarani, ho paura però che quando le barche possono avere prestazioni troppo diverse nella stessa regata si perda interesse a seguirla, in questo senso i monoscafi erano più gestibili. Anche il circling in partenza sarà meno ravvicinato con quelle appendici sollevate. Credo che alla fine i foil diventeranno di serie, magari in una versione meno complicata di quelli race. Ne sono talmente convinto che se non riuscissi a vendere bene il vecchio Ker 40 lo terrò per modificarlo con i foil».
A quali regate parteciperà?
«Per fortuna sono poche quelle che non ho vinto, mi manca la Giraglia Rolex Cup, mi piacerebbe vincerla anche se è difficile: nella flotta IRC (la barca è ottimizzata per la stazza IRC n.d.r.) ci sono sia le barche piccole che i maxi, si va da 40 a 140 piedi e averne una intermedia, di 60 piedi, non facilita il compito. Devo provarci, mi dà fastidio non averla nel palmarès. Vorrei togliermi la soddisfazione di partecipare alla Rolex Fastnet Race e fare qualche regata ai Caraibi».
Cosa ha scelto per elettronica e vele?
«Abbiamo scelto B&G, ma con ripetitori all’albero e timonerie Garmin, che sono molto visibili. Abbiamo eliminato i display cartografici di troppo, oggi si gira con il computer, l’importante è che gli strumenti si possano interfacciare bene. Sono legato alla veleria Millennium di Marco Holm, ho visto nascere le vele in membrana Monolithic e stanno crescendo bene. In passato ho fatto anche da banco di prova per loro, siamo legati da 25 anni di attività. Sono convinto che quanto a rapporto qualità/prezzo non ci siano paragoni».
Che tipo di velista è?
«Devo conoscere la mia barca alla perfezione, da capo a fondo, e poter mettere le mani ovunque e riparare qualsiasi cosa. Vorrei anche mantenere la capacità di andare in giro da solo, cosa che non è sempre possibile né consigliabile, ma con due o quattro mani pronte a ricevere istruzioni devo poter andare ovunque per conto mio. La barca in affitto è quindi una sofferenza tremenda: non cammina e non la conosco, di conseguenza mi sento a disagio. La barca ha un’anima, bisogna parlarci».
Cosa non può mancare a bordo?
«Un chilo di pasta! Più seriamente, non andrei mai in giro senza un Epirb a bordo».
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