28 May 2020

Namibia, la magia della Skeleton Coast

Lungo la temuta Skeleton Coast, cimitero di relitti e marinai, stretta tra le violente onde dell’oceano e le dune di sabbia. Lungo spiagge selvagge, regno di pescatori e di un’incredibile colonia di otarie introduzione a un deserto che non ha eguali al mondo

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Belle e selvagge, incontaminate, ma cimitero di navi e marinai: le insidiose coste della Namibia erano chiamate dai navigatori portoghesi as areais do Inferno (“le sabbie dell’inferno”) perché quegli uomini avevano ben appreso a loro spese come un equipaggio, una volta scagliato a terra, sulle infinite spiagge bianche incorniciate dalle dune del deserto, non avesse alcuna via di scampo. Oggi il litorale desertico a nord della cittadina di Swakopmund porta il nome inquietante di Skeleton Coast...

Fu proprio un portoghese, Pedro Cão, a sbarcare più di 500 anni fa su questo tratto di costa e primo europeo a metter piede nel “continente nero”: nel 1486 giunse nella località di Cape Cross e, a ricordo dell’eccezionale impresa, piantò un pedrão a forma di croce, alto 2 metri, in onore di Giovanni II, re del Portogallo, oggi sostituito da una replica.

Da allora, battute con violenza dalle onde e dai venti dell’Atlantico, le coste namibiane hanno raccolto decine e decine di imbarcazioni naufragate e, anche se i relitti più famosi sono ormai scomparsi o sono inaccessibili al turista medio, qualcosa è ancora visibile. Ed è impressionante.

Oltre il miglio 108, lungo la strada di sale (route C38) che corre parallela al mare e porta fino all’ingresso dello Skeleton Coast Park, giacciono indisturbati i resti arrugginiti del Winston Wreck: una spiaggia senza fine dove le dune ruggiscono per effetto del vento che soffia tra i granelli di sabbia e dove le uniche impronte che si avvistano sono quelle di sciacalli solitari a caccia di prede.Verso nord, a Möwe Bay c’è un museo che raccoglie rottami e ritagli di giornale dei naufragi del passato.

Navigare da queste parti non è uno scherzo: violente raffiche di vento, sabbia che arriva dal deserto, nebbie fitte, secche e mare molto mosso sono all’ordine del giorno. Più a sud, nel tratto di Skeleton Coast denominato National West Coast Tourist Recreation Area, proprio là dove sbarcò Pedro Cão con la sua caravella di legno, una speciale riserva naturale, incorniciata dagli aspri rilievi del Brandberg, attira turisti da tutto il mondo.

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Le otarie di Cape Cross

Si tratta della Cape Cross Seal Reserve, dove vive la più famosa colonia di otarie del Capo (in inglese Cape Fur Seal, “foche del Capo dalla pelliccia”): centinaia e centinaia di otarie giacciono una vicino all’altra sulla spiaggia, producendo un’impressionante cacofonia di suoni stridenti e un odore acre dovuto agli escrementi (ricordatevi di portare con voi una sciarpa che vi proteggerà dal vento e soprattutto dall’odore acre. Si crogiolano al sole, si trascinano goffamente verso l’acqua, poi si tuffano fra le onde e surfano a caccia di pesce.

L’oceano, grazie alla corrente del Benguela, ne è ricchissimo, pronto dunque a soddisfare l’incredibile quantità di cibo di cui necessitano (circa 270 kg di pesce all’anno!). Una volta i pescatori, infastiditi, per ridurre il numero di otarie ricorrevano all’abbattimento programmato, ma il mattatoio ora è chiuso e gli animali, protetti, si riproducono indisturbati.

Le femmine tra novembre e dicembre partoriscono un solo cucciolo e ben presto lo lasciano sulla spiaggia per andare a cercargli del cibo e fa impressione come, al rientro, riescano a riconoscerlo tra migliaia, grazie a percezioni olfattive e a richiami.

Le vide anche Pedrò Cão all’arrivo con la sua flotta: oggi come ieri, invadono indisturbate l’intero Cape Cross, sorvegliate dalle repliche della croce da lui piantata e dai blocchi in cemento che forniscono informazioni sulla zona, disposti come la Croce del Sud che guidò il navigatore nella sua ardua spedizione.

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I pescatori di Henties Bay

Si prosegue verso sud per una sessantina di chilometri nel nulla assoluto, a destra le onde che si infrangono sulla spiaggia, a sinistra le dune di sabbia del deserto, fino a che s’incontra il villaggio di pescatori di Henties Bay, sorto alla foce del fiume Omaruru e méta per gli appassionati di pesca che qui arrivano da tutta l’Africa meridionale.

La foce è una ricca fonte di cibo per i pesci d’alto mare, come galjoen, steenbra, kabeljou e blacktail, per questo sono sorte molte case di villeggiatura dalle caratteristiche pareti a colori vivaci e ne vedi sfrecciare i proprietari su fuoristrada, con le canne da pesca infilzate nel paraurti anteriore, che vanno muniti di lenze ad accoccolarsi sul bagnasciuga per ore e ore, con un sacchetto di biltong e una bottiglia di birra per ingannare l’appetito. Il risultato lo si ammira nei piatti e sulle pareti dei ristoranti, tappezzati di foto in posa con i migliori trofei marini della stagione. A differenza di quanto si possa credere la cucina namibiana è in grado si sorprendere anche il più raffinato palato, soprattutto di noi italiani. Provare per credere.

Il Tropico del Capricorno

Si scende quasi all’altezza del Tropico del Capricorno, in direzione della località di villeggiatura per eccellenza: Swakopmund. Un ritorno alla civiltà, se si pensa alla Skeleton Coast vera e propria. Qui gli edifici più antichi hanno un centinaio di anni, e li portano anche molto bene: curiose architetture color pastello in stile tedesco, molte delle quali hanno una storia legata al mondo marittimo e mercantile, un lungomare orlato di palme, un faro bianco e rosso che dal 1902 è diventato il simbolo della città, un’infinità di ristoranti e konditorei (pasticcerie) con i migliori apfelstrüdel che uno abbia mai assaggiato.

Il suo clima estivo invidiabile 25°C (salvo la notte quando può scendere anche 5°C) e scarse piogge, le spiagge, l’atmosfera ospitale, la rendono méta ambita di surfisti, bagnanti e pescatori, dove la noia è un vocabolo sconosciuto.

L’antico molo in ferro del 1911 si protende verso il largo ed è punto di riposo per i gabbiani e sfondo di scenografici tramonti; qualche centinaio di metri in là c’è l’edificio del National Marine Aquarium, ottima introduzione alla vita sottomarina dell’Atlantico meridionale.

C’è anche un piccolo museo, sorto sul sito di un ex magazzino del porto, ricco di curiosità legate alla storia di Swakopmund e della Namibia.

WALVIS, PORTO E LAGUNA

Trentacinque chilometri a sud di Swakopmund, ecco la città di Walvisbaai, nome che in afrikaans vuol dire Baia delle Balene: la battezzò un altro portoghese insigne, il navigatore Bartolomeo Diaz, quando nel 1487 attraccò con la São Cristòvão nell’insenatura naturale formata dalla lunga Pelican Point, ultima tappa della lunga “Whale Route”. Un porto riparato di fondamentale importanza lungo la perigliosa rotta per il Capo di Buona Speranza, britannico prima, sudafricano poi, namibiano infine: oggi è un attivo porto commerciale con un movimentato traffico di merci e i mastodontici cargo.

Oltre il porto, verso l’interno della baia, le onde si calmano e il livello dell’acqua si abbassa: se verso il mare aperto si possono incontrare delfini e balene, qui si entra nella Lagoon (45.000 ettari di estensione), abitata da incredibili stormi di fenicotteri rosa e dalle Sterne di Damara, specie in estinzione. Il suo specchio d’acqua è ideale per la pratica degli sport acquatici: derive, hobie-cat, wind-surf, barche a vela, kayak, fino alle veloci moto d’acqua, ce n’è davvero per tutti i gusti. E se a qualcuno ancora non bastasse, è sufficiente percorrere lo spettacolare Welvitschia Drive, quattro ore di paesaggi lunari e strane creature.

Poi tornare a riva e dirigersi verso l’interno alla Duna 7, per divertirsi con il sandboard in un vero “mare” di dune di sabbia.

E se avete ancora tempo programmate una visita verso un mare diverso, più all’interno, dove un mare di dune enormi vi aspetta per stupirvi ancora.

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A VELA IN UNA LAGUNA SPETTACOLARE E PROTETTA

Il nome (Costa degli Scheletri), e i relitti che punteggiano le sue spiagge sembrerebbero non invitare a una rilassante vacanza in barca a vela. La fredda corrente del Benguela che mantiene l’acqua intorno ai 15 °C, le pericolose onde dell’Atlantico meridionale e i venti che soffiano tra costa e deserto, nemmeno. Invece, nella riparata Lagoon di Walvis Bay (35 km a sud di Swakopmund), si va in catamarano e in deriva, senza difficoltà, circondati da un paesaggio straordinario, in cui le dune di sabbia del Namib degradano dolcemente in mare. Una lunga striscia di terra che termina con la Pelican Point ha creato un porto naturale unico sull’intera costa: gli abitanti di Windhoek, la capitale, appena hanno qualche giornata libera vengono e veleggiano tra gli stormi di fenicotteri rosa e i delfini che abitano la baia, altri invece preferiscono moto d’acqua e barche a motore. Qui alcune società di noleggio propongono una piccola flotta di imbarcazioni (23, 43 e 53 piedi) e mini-crociere fino a Swakopmund e veleggiate nella baia verso la Pelican Point.

Anche se è estate, si consiglia qualche capo pesante: i venti freddi soffiano in modo costante dal mare, abitualmente per tre giorni di seguito; durante l’inverno il processo s’inverte e soffiano caldi dal deserto alla costa.

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