Mylius, Luciano Gandini: non costruiremo mai barche di serie

Siamo andati a visitare il cantiere Mylius dove abbiamo incontrato il suo proprietario, Luciano Gandini. L'imprenditore piacentino ci parla dei progetti futuri del cantiere e dei suoi sogni, tra cui mantenere sempre lo stesso spirito di imbarcazioni semi custom
«Sogno che un giorno le persone riconoscano le mie barche navigare e dicano “quello è un Mylius”». Luciano Gandini, imprenditore piacentino e proprietario di Mylius Yachts, ci confessa il suo sogno al timone del nuovissimo 80 piedi Twin Soul B durante una delle regate della Rolex Capri Sailing Week. Come anche lo scorso anno, la manifestazione includeva, infatti, una classifica a parte, riservata alle barche costruite dal cantiere. Ed è proprio lì, a Podenzano, provincia di Piacenza, che siamo andati per vedere le ultime novità. In cantiere troviamo due nuovi 60’ nelle fasi finali di lavorazione. Gandini ci racconta: «abbiamo deciso di rinnovare il 60' per adattarlo alle richieste degli armatori, che volevano volumi più ampi e abbiamo già tre modelli in costruzione. I primi due sono prossimi al varo, hanno la stessa costruzione, ma layout e appendici differenti. Una è più racer dell’altra. Paragonandoli alle auto, abbiamo una sportiva e una gran turismo, ma sono entrambe veloci. Non facciamo barche lente».

E la terza?
«È lo sviluppo del nuovo progetto per Guido Paolo Gamucci (armatore dei Cippa Lippa, n.d.r.) che avrà un suo stampo e monterà la canting keel. Sarà una barca da regata con volumi più piatti e una poppa più larga della versione standard e navigherà meno sbandata. Il family feeling non cambia, avrà la stessa tuga con qualche piccola modifica per adattarla al programma race. Al momento non è ancora in catalogo, dobbiamo fare delle valutazioni prima di decidere se metterla sul mercato».

Come è nato il contatto con Gamucci?
«Galeotta fu Capri, lo scorso anno si è innamorato delle linee Mylius e delle loro prestazioni. In un primo momento aveva pensato che non fossero barche per lui, ma è tornato alla carica chiedendoci un modello speciale. E così andrà in acqua nei primi mesi 2019, stiamo realizzando il modello per lo stampo, che abbiamo deciso di rifare completamente e a nostre spese».

Rispetto al 60’ standard che barca sarà?
«È tutto estremizzato: avrà sartie e albero di carbonio ad alto modulo, prua leggermente reversa, una super delfiniera e volanti come sul mio nuovo 80’. Abbiamo avanzato le ruote del timone e portato indietro il trasto e faremo due importanti modifiche in coperta: la tuga sarà identica, ma non avrà più i due classici vetri spioventi, che lasceranno il posto a due winch per le drizze. La poppa si è allargata e il baglio massimo è tutto spostato a poppa».
Lei viene dall’industria, che differenze ci sono nel costruire barche?
«La differenza che ho notato, e che presuntuosamente credevo di riuscire a cambiare, è nello stile di produzione: nelle altre mie aziende produciamo in modo industriale, usiamo robot e macchine utensili. Nelle barche c'è tantissimo artigianato e dentro di me dicevo “vedrai quanto riuscirò a modificare la produzione”. E invece no, servono decine di migliaia di ore per fabbricare questi oggetti tutti a mano, non esiste un robot. Vedo gente che lucida e scartavetra per ore, altri che impiegano un quarto d’ora solo per tirare una vite. Alla fine ho fatto pace con l'artigianalità. Chi inventerà qualcosa di nuovo in questo settore avrà molto successo!».

Cosa distingue la vostra produzione?
«Lavoriamo a barca chiusa, una scelta estrema, diversa da tutti gli altri cantieri e unica al mondo. La barca arriva da noi nella forma di un monolite chiuso. Quando lo scafo è ancora aperto mettiamo madieri e paratie, poggiamo la coperta e mettiamo tutto nel forno, che trasforma il manufatto in un osso rigidissimo. Quando hai un albero di quasi 40 metri che applica carichi mostruosi alle strutture è normale che scafo e coperta si muovano: alle nostre barche non accade. Per provarlo basta aprire una porta mentre si naviga sbandati di bolina a 14 nodi. Sono prove che facciamo e le porte si aprono e chiudono alla perfezione».

L’allestimento viene quindi fatto a scatola chiusa, come una volta?
«Sì, e da un certo punto di vista è un vantaggio: tutto ciò che entra può successivamente uscire. Ma deve essere costruito su misura e messo in opera, un metodo che richiede una progettazione lunga e accurata».

E in caso di interventi importanti al motore?
«Una serie di pannelli rimovibili in pozzetto permettono l’ispezione e l’accesso diretto alla sala macchine e la sostituzione non solo del motore, ma anche di tutti gli impianti».

Come immagina Mylius tra 10 anni?
«Abbiamo messo in piedi un “giocattolo” che neanche noi pensavamo di realizzare in così poco tempo. La mia unica sicurezza è cosa Mylius non diventerà mai: un costruttore di barche di serie. Manterremo sempre lo stesso spirito e stile. La flotta diventerà più grande, è normale, perché è lo stesso mercato a spingere verso misure maggiori».
Presto vedremo barche sopra ai 100 piedi?
«I nostri clienti ci stanno già chiedendo modelli da oltre 100 piedi, ma per il momento stiamo mettendo un freno alla crescita, vogliamo prima consolidare quello che sappiamo fare senza commettere l'errore di correre troppo. Lanciare il nuovo 80' è stato un impegno importante, e realizzarlo in appena otto mesi è stato uno sforzo notevole. Lavoreremo molto nella fascia compresa tra 65 e 90 piedi».

Come farete a consolidare?
«Sviluppare ancora Mylius in Italia, dove siamo già piuttosto riconosciuti, e spingerlo poi a livello internazionale. Per esportare bene serviva prima avere un brand affermato e concreto, e lo abbiamo fatto sfruttando un mercato interno dinamico. Ora è arrivato il momento di mollare gli ormeggi e andare oltre i confini nazionali. Non ci interessa costruire oggetti troppo estremi e custom, che perdono rapidamente valore, le nostre barche tengono il mercato. Vogliamo preservare l’investimento dei nostri clienti e lo si può fare solo lavorando sul brand. Non conosco altri modi».

Uno dei prossimi obiettivi?
«Vogliamo spingerci oltre con la qualità del prodotto, è necessario creare oggetti ancora migliori per aumentare il valore del brand. Mi rendo conto che è una scelta contraria alle logiche del guadagno puro, ma è l'unico modo per creare un'azienda di valore nel tempo».

Un esempio di qualità Mylius?
«I nostri fondi sono spessi, una qualità difficile da percepire e spiegare alla gente. Tempo fa una nostra barca è andata a scogli a otto nodi e sa cosa è successo? Niente. Non aveva un cricca, abbiamo rifatto solo il bulbo ed è tornata in acqua».
La dote che ha sempre voluto nelle sue barche?
«Mi piace che la barca si muova velocemente e che abbia un po' delle comodità di casa mia, che è un ambiente aperto e solare. Mi piacciono barche luminose e dal design semplice e pulito, ma con tutti i comfort: grandi salotti, cucine, letti spaziosi. Non amo lo stile classico, con tanto legno, la mia vecchia battuta è che tra quattro assi di legno dovrò rimanere a lungo, quindi ora fatemi stare alla luce, in trasparenza! Da quando sono entrato in cantiere, quindi dal 2011, ho sempre cercato di progettare e costruire barche con quelle caratteristiche e il nuovo 80’ è ancora “figlia” di quel primo Mylius 65 del 2010, Twin Soul 6. Qualcuno potrebbe criticare che ancora una volta ho fatto una barca simile alla precedente, ed è vero. Riusciamo a staccarci poco da quel modello. Il primo che è riuscito a fare qualcosa di diverso è stato Parisotto con il suo Mylius 65 FD Oscar 3».

Quali innovazioni l’attraggono di più?
«Mi affascina l’evoluzione elettronica che abbiamo sviluppato negli ultimi anni e le possibilità di controllo. Temperature, livelli, autonomie. Sapere quanto puoi restare in rada con i servizi attivi prima di dover accendere il generatore è impagabile. Hai a portata tante informazioni e puoi capire meglio cosa succede alla tua barca mentre te la godi. Avere una barca tecnologica mi ha sempre attratto, anche se mi rendo conto che non bisogna esagerare, il segreto è semplificare».

Ci confessa un vostro punto debole?
«Siamo ancora giovani, dobbiamo acquisire esperienza. E siamo dei presuntuosi, perché vogliamo crescere a modo nostro, senza ascoltare troppo. Pur sapendo che avremo dei problemi, come tutti, ma vogliamo passarci attraverso. Un atteggiamento che alla lunga ci rende più forti, ma credo che a volte potremmo evitare qualche guaio. Alla fine però facciamo delle belle barche».

È appassionato di auto sportive, come si fondono i due mondi nelle sue barche?
«Ho sempre avuto l’idea di avere barche che fossero delle gran turismo e quando abbiamo iniziato a costruite il nuovo 80’ Twin Soul B avevo appena preso una Lamborghini alla quale ci siamo ispirati molto. Siamo andati da loro per vedere come realizzano le cuciture delle pelli, come trattano il carbonio. Sono bravissimi a giocare con questi materiali. E noi abbiamo cercato di ispirarci al loro modo di lavorare».
Cosa è il lusso per lei?
«È difficile da definire, bisogna tornare alla percezione del lusso e può voler dire cose anche molto diverse. Penso che la parola lusso riportata a una barca sia una concomitanza di idee: avere a bordo le comodità di casa, avere un modello sportivo e molto veloce. Se la domanda è “costruite barche di lusso”?, la risposta è sì, vorrei che il nostro brand facesse prodotti di lusso».

La sua dote migliore?
«La bellezza! Scherzi a parte, credo di sapermi circondare di persone capaci. E poi io ci sono, ci sono veramente e ci sono per tutti. Chiunque abbia bisogno di parlare, di chiedere o di fare sono sempre presente. Mi alzo ancora tutte le mattine con la stessa forza e voglia di fare di 30 anni fa. E sarà così finché avrò questo spirito e voglia di lavorare.

Barca e mare cosa sono per lei?
«Uno svago. La barca è l'unico oggetto che non mi fa pensare al lavoro. Preferisco la crociera, in regata torna fuori il mio aspetto competitivo e non riesco a rilassarmi quanto vorrei. Quando mollo gli ormeggi e navigo lungo il canale del porto mi sento già in vacanza.
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