Ace 30 prova in mare: come va, pregi e difetti

Ace 30 è un 9 metri per crociere e regate ottimizzato per competere in IRC. Il progetto non si ferma all’ottimizzazione delle forme a scow, ma fa uso di materiali ecologicamente compatibili e di una tipologia costruttiva che non prevede l’impiego di stampi. La carena a spigolo è in compensato marino e fibre di vetro impregnate di resine biologiche e la coperta è in sandwich con anima di PET riciclato

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La disposizione interna è lineare, l’arredo è tirato all’osso e i mobili non hanno né ante né frontalini di chiusura. Gli impianti sono a vista per essere raggiungibili in navigazione. I volumi sono notevoli, anche nelle cabine di poppa. A prua il locale toilette funge anche da cala vele. Interessante il sistema a pantografo che permette di spostare lo schermo in tutti i punti della barca.

Atelier Interface è un piccolo e interessante cantiere che ha sede a La Rochelle, in Francia; qui barche a vela per le regate oceaniche vengono progettate, ottimizzate, ingegnerizzate e costruite. Questo cantiere vanta innumerevoli collaborazioni in progetti ad alta tecnologia come, giusto per citarne alcuni, il Gitana Maxi Trimaran, gli IMOCA 60 Hugo Boss e St. Michel Virbac, nonché una collaborazione fissa con lo studio di Sam Manuard.

L’Ace 30 nasce sotto queste spoglie: è un’inusuale imbarcazione per la regata e la crociera ottimizzata per competere in IRC. Il progetto è raffinato e completo fin nel dettaglio e la ricerca non si ferma all’ottimizzazione delle forme, ma si spinge all’uso di materiali ecologicamente compatibili e a una tipologia costruttiva che non prevede l’impiego di stampi. Il risultato è un nove metri dalle caratteristiche uniche e dalle prestazioni notevoli.

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Scafo a scow e prua da racer

Se c’è una cosa che distingue l’Ace 30 da qualsiasi altra barca a vela è la sua linea: bassa sull’acqua, con una voluminosa tuga a dominare il ponte e, soprattutto, uno scafo a scow dalla prua larga e imponente. Un’architettura, quest’ultima, che è ormai imperante nei Mini 650, nei Class 40 e negli IMOCA 60, ma che non ha ancora trovato una sua strada nel mondo delle barche normali. Queste forme non hanno mai goduto di un’attrattiva estetica, eppure l’Ace 30 ha un disegno tanto funzionale e coerente da essere affascinante.


Le sue linee marcate sono frutto di una costruzione della carena a spigolo in compensato marino e fibre di vetro e di una coperta realizzata da assemblaggio su dime di parti laminate a banco. Un tipo di realizzazione che è frutto di un importante lavoro che il progettista Antoine Mainfray ha portato avanti nell’ottica della sostenibilità ambientale. Atelier Interface sta infatti ottimizzando l’impiego di materiali ecosostenibili e di metodi costruttivi volti ad eliminare l’uso degli stampi per ridurre l’impatto della CO2 dell’intero processo produttivo. L’Ace 30 nasce secondo questi criteri: impiega compensato marino e bioresine, sia come matrice per gli strati dello scafo, sia come matrice nella costruzione a sandwich della coperta, dove la tradizionale anima in Pvc lascia il posto ad un’anima in PET riciclato.


Se alla prua tagliata a fetta di salame ci vuole un po’ di tempo per abituarsi, si arriva velocemente ad apprezzare i gradi volumi interni e le ampie superfici di calpestio. La disposizione di coperta ricorda quella dei Sun Fast 3300 e JPK 1030, dove il pozzetto è privo di paramare e tutte le manovre sono pensate per una conduzione sia in solitario che in equipaggio. La gran quantità di manovre e possibili regolazioni si sposa con un impiego in regata, mentre nelle navigazioni in crociera ci si può dimenticare quasi di tutto e giocare semplicemente con le scotte di randa e delle vele di prua. Il pozzetto è davvero ampio, manca di protezioni dal mare, ma nelle lunghe navigazioni si utilizza l’autopilota e ci si può rifugiare sottocoperta e guardare l’orizzonte dalle finestrature sporgenti della tughetta.


L’albero in posizione arretrata lascia a prua molto spazio per utilizzare vele di grandi dimensioni e di diversa tipologia. Il piano velico è potente, arricchito da un albero in fibra di carbonio e randa square top. Le appendici contano su due pale del timone appese a poppa e una lama di deriva in piombo con anima in acciaio weldox priva di torpedine. Uno degli aspetti interessanti di questo piccolo e originale cruiser racer è l’attenzione verso la profonda ottimizzazione per la stazza IRC che ha richiesto in fase progettuale tre certificati di prova prima di arrivare al rispettabile valore di 1,001.

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Interni minimali ma pratici

Sottocoperta tutto è volto alla funzionalità, nessun tipo di concessione a decori o a finiture che non siano finalizzati ad un uso specifico: non ci sono i paioli e per spostarsi è necessario scavalcare i madieri a scafo, non ci sono ante o frontalini di cassetti, i vani sono a giorno e gli impianti sono tenuti a vista. L’idea è che in navigazione tutto deve essere facilmente e rapidamente raggiungibile.


C’è una certa eleganza in tutto questo: una configurazione open space con lunghissime e comode panche a murata che fungono anche da letti di guardia, un grande tavolo, una cucina piccola ma ben organizzata e comodissime sedute ai lati della discesa che rimangono delle postazioni di guardia da cui gestire la navigazione. Interessante il sistema a pantografo che sostiene il grande schermo del pc e che si allunga dal puntone dell’albero fino all’area del carteggio, o alle panche.

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Facili planate a 12 nodi

In tutto questo susseguirsi di curiosità costruttive, funzionali ed estetiche, quello che davvero esprime il valore di questa barca è il suo modo di navigare e le sue prestazioni sorprendenti. Ci si deve un po’ abituare alle caratteristiche degli scafi con forme a scow che trasmettono una sensazione al timone più simile a quella di un multiscafo che non a quella di un tradizionale monoscafo, soprattutto nell’andatura di bolina, quando la tradizionale tendenza orziera, che normalmente aumenta al crescere dello sbandamento, è molto ridotta. Ma è solo una questione di abitudine: l’angolo al vento che si riesce a tenere non è niente male e il grande raddrizzamento di forma unito ad un peso contenuto permette accelerazioni ad ogni aumento dell’intensità del vento senza, ovviamente, la minima tendenza ad appruarsi.


La barca risale il vento veloce e cavalca le onde con una destrezza che non ci si aspetta; la velocità di carena si raggiunge già con sette nodi d’aria, mentre al crescere dell’intensità del vento l’Ace 30 diviene più reattivo e leggermente più nervoso, aggredisce il mare senza mai sbandare oltre i venti gradi e trasforma tutta l’energia del vento in velocità. Rispetto agli scow più piccoli, la tendenza a muoversi come una saponetta sulle onde, e quindi ad avere la prua che scappa da una parte all’altra, è molto poco marcata.


Al lasco, con una quindicina di nodi e il gennaker a riva, la potenza di questa configurazione si dimostra in lunghe planate a velocità imbarazzanti, senza richiedere il minimo impegno da parte di chi sta al timone: si naviga a 12 nodi con la barra in mano e conversando tranquillamente con chi è nel pozzetto.

SCHEDA TECNICA

Lunghezza f.t. m 9,20
Lunghezza m 3,40
Pescaggio std m 1,90
Dislocamento a vuoto kg 2.700
Zavorra kg 1.200
Superficie velica randa mq 32
Superficie velica fiocco mq 30
Superficie velica gennaker mq 100
Motore cv 12
Omologazione CE categoria A
Progetto Antoine Mainfray

Prezzo listino 167.000 euro

Iva esclusa con carbon rig, senza vele

CANTIERE

Atelier Interface
www.archinavale.carbonmade.com

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