16 October 2014

L'Italia che eccelle - Giovanni Cariboni di Cariboni Caritec

Prosegue il nostro appuntamento con le interviste alle aziende italiane coinvolte nella Volvo Ocean Race. E' la volta di Giovanni Cariboni, titolare di Cariboni Caritec, azienda leader mondiale nella progettazione e costruzione di sistemi idraulici applicati alle chiglie. Dalla Coppa America alla Volvo, dai maxi agli Imoca 60 Cariboni è sempre presente...

L'italia che eccelle - giovanni cariboni di cariboni caritec

Giovanni Cariboni è il fondatore e proprietario di una delle aziende più richieste in tutto il mondo, per le sue applicazioni idrauliche e chiglie basculanti. America’s Cup, Volvo Ocean Race, IMOCA 60, Superyacht:  al suo palmares non manca nulla. Ed è dopo aver vinto le ultime tre edizioni della Volvo Ocean Race che la Cariboni è stata scelta per equipaggiare il nuovo VO65 one design per le prossime due edizioni.

Un lavoro che fa dell’innovazione la molla costante, del confronto col cliente un punto fondamentale e della passione per il proprio lavoro il filo conduttore di una storia che ha attraversato tutte le barche più importanti degli ultimi vent’anni.

 

Sig. Cariboni, ci introduca la vostra azienda: come si è sviluppata, in cosa consiste la produzione e da dove viene la vostra specializzazione.

«È circa 40 anni che lavoro nella nautica, prima come progettista di alberi. Poi, con le barche che diventavano sempre più imponenti e con carichi più importanti, è nata la necessità di abbinare all’attrezzatura degli alberi anche una attrezzatura idraulica customizzata. Nel 1992 è partito il più grande progetto di quel tempo, il Wally 100 Wallygator. Abbiamo abbandonato gli alberi per la parte idraulica, che era un campo innovativo e stimolante.

Nel 1997 ci era stato chiesto da Luna Rossa una particolare applicazione e così siamo entrati nel mondo della Coppa America per avere a Valencia 9 team su 11 e vincerla con Oracle nel 2010. E nell’ultima eravamo presenti a San Francisco con Luna Rossa, Artemis e Team New Zealand. Per loro abbiamo fatto tutte le pompe idrauliche, tutti i cilindri e su alcune la parte tubistica: progettazione, esecuzione e costruzione dei pezzi».

 

La vostra produzione è totalmente in Italia?

«Si tutta in Italia, a Ronco Briantino dove si progetta e si produce. Poi abbiamo filiali e punti di assistenza all’estero, come Cariboni USA e Cariboni NZL».

 

Davvero una bella realtà, di quelle che da italiani (velisti e non) si sente orgogliosi

«È stata una dura lotta affermarsi nel mondo anglosassone perché l’italiano era a priori visto in maniera raffazzonata. E poi una soddisfazione immensa perché ora sono loro che vengono a cercarci. Inizialmente ci ha creduto solo Luca Bassani di Wally Yachts, poi è stato il nostro “promotore”. Oggi il 95% dei nostri clienti sono all’estero».

 

Sembra un misto tra una favola e la lezione dei libri di economia, grazie agli investimenti in ricerca e sviluppo si riesce a esportare e vincere il mercato.

«Certo non è facile, bisogna crederci anche se si fa fatica, ma sono anche delle grandi soddisfazioni. Il nostro prodotto nasce dalla discussione con i clienti, ma poi è come se l’oggetto fosse un po’ tuo, anche se ti viene pagato. Quando vai su un Volvo provi delle sensazioni come se fossi il team manager di quella barca, anche se in realtà sei un incapace rispetto a loro. E sono queste sensazioni che ti spingono. Io oggi ho una certa età e se continuo è perché trovo ancora una grande soddisfazione nel mio lavoro, e devo dire che sono stato fortunato dalla vita perché ho potuto vivere di soddisfazioni pur avendo anche una vita più che dignitosa. E questa è una delle cose che gratificano di più».

 

E la Volvo Ocean Race?

«Nel 1996 avevamo costruito la prima chiglia basculante, poi l’abbiamo prodotta per la barca Fila di Soldini, e abbiamo iniziato a diventare il primo produttore al mondo. Con l’introduzione della Volvo Ocean Race abbiamo vinto tutte le edizioni, fino a che la Volvo ha deciso che noi saremmo stati i fornitori ufficiali della nuova barca one design».

 

Cosa ne pensa della classe One Design? Anche in relazione alla Coppa America, dove si pensa di seguire un concetto simile.

«La decisione della classe One Design è stata presa in primis per cercare di abbassare i costi. Rischiare di fare la Volvo con due o tre concorrenti era troppo pericoloso per le aziende. E poi si voleva fare una barca che sarebbe durata nel tempo (questa verrà utilizzata per due edizioni, n.d.r.). Dall’altra parte però si limita un po’ la progettazione».

 

La Volvo è un settore che fa dell’innovazione la chiave fondamentale, non teme di essere penalizzato nel lungo periodo dalla mancanza di sviluppo con i team della Volvo?

«Solo in parte, ci sono altri grandi yacht che metteremo in acqua tra poco e che ci permettono di sviluppare soluzioni innovative. Certo, non è come avere sei team che portano altrettante informazioni diverse allo stesso momento e ti spingono a sviluppare soluzioni diverse. Però devo dire che c’è una tranquillità contrattuale che ti permette di investire quella parte di ricerca in altri settori».

 

Ci sono meno team di quelli che ci si aspettava dalla formula One Design? E secondo lei hanno tutti un sufficiente livello di preparazione, pensando che Vestas è entrato per ultimo?

«No, ce ne sono molti di più! E riguardo Vestas, anche se è entrato dopo è un equipaggio con una esperienza importante. Probabilmente non conoscono bene barca come gli altri ma è un team solido, non sono improvvisati».

 

Cosa pensa degli sforzi comunicativi da parte dell’organizzazione della VOR?

«Credo che la Volvo abbia fatto molti passi avanti, sono nella giusta direzione».

 

Sono i grandi canali di comunicazione quelli da andare a conquistare. Chi ci riesce molto bene in questo è Soldini.

«Giovanni è indubbiamente uno dei personaggi più conosciuti dalla massa in Italia. I nomi legati alla vela che abbiamo sono Cino Ricci, Azzurra, Prada e Giovanni Soldini; il resto conta poco. E Giovanni è il più seguito di tutti, a livello comunicativo è davvero molto bravo. Riesce a suscitare un interesse che gli altri non hanno trovato o che i media di massa non hanno voluto capire. Ed è un po’ una delle deficienze della nostra comunicazione italiana. Oltretutto è bravo anche come marinaio, bisogna essere onesti».

 

Forse i media sarebbero aiutati dall’avere un team italiano nella VOR

«Se ne parla. Anche nell’ultima riunione della VOR è trapelata tra questa volontà di formare un team italiano, ma bisogna trovare i soldi».

 

Un’ultima domanda, cosa ne pensa dello stato di salute del mercato della nautica italiana?

«Il problema della nautica è che ha avuto un’esplosione notevole negli anni del boom economico ed è stata poi rovinata da molti avventurieri ed approfittatori. Ci siamo trovati in una situazione particolarmente terribile, perché c’erano dei buoni costruttori che sono stati inficiati dai cattivi costruttori che hanno danneggiato la reputazione internazionale nei confronti dei costruttori italiani. E nel momento di recessione non siamo stati tutti sufficientemente innovativi a voler investire per riprendere una parte di mercato. Il mercato è difficile perché la quantità possibile di produzione cantieristica mondiale è più grande della richiesta.

La ripresa sarà durissima. Oggi i cantieri non vivono di buona salute, sono costretti a produrre a prezzi più bassi e con qualità inferiore. È un cane che si mangia la coda: se devi produrre a costi più bassi fai un prodotto peggiore e poi non lo vendi più».

 

Lamberto Cesari

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