Vela e Motore

marzo 2023 | VELA E MOTORE 99 Mi chiamo Camillo, della gens dei Camilli (nonno, trisnonno ecc.) e vivo le mie avventure in Gallia, ma non sono un generale romano. A differenza del mio quasi omonimo (i.e. Marco Furio), io sono figlio di Vittorio, meglio conosciuto come il Prof, già lui architetto di lungo corso nelle campagne d’oltralpe e oltremare. Da lui ho ereditato la passione per il mare e quella per il design, e sono più bravo di Lui (forse… credo… spero). Torniamo in Gallia, perché ivi Lui mi ha condotto e, talvolta, anche abbandonato: una specie di “carcere duro” nelle linee di stratifica della Prestige 36 di Jeanneau, erano gli anni ’90 ed ero ancora il giovane (mica tanto) tirocinante di Studio – una specie di schiavo. Erano i primi passi dei “velisti” Garroni nel mondo del motore francese ed erano anche “quasi” i primi passi della nautica francese nel mondo del motore. Mezza bugia: proprio Henri Jeanneau ne era stato un pioniere, vent’anni prima, af fermatosi con dei motoscafini in “plastica”, mentre il suo già famosissimo concorrente, Michel Dufour, spopolava con i suoi mitici Arpège, anch’essi di “plastica”, ma ricavati dal prototipo in legno con il quale, lui al tavolo da disegno ed anche al timone, già aveva vinto la Half Ton Cup. Da quella Scuola noi provenivamo perché era stato il gran Michel a convertire il mio Lui (babbo), insieme al fido Max (Musio-Sale), dalle navi alla nautica, a vela, ovviamente. Una lunga ser i e d i g rand i sloop in composito da 30 m per i quali eravamo stati aggregati niente di meno che a Alan Gilbert, Chief Designer della S&S, quella dei 12m S.I.; altro suo amico e altra Scuola fantastica. La “plastica”, il vero protagonista del boom della nautica francese. Il nostro amico/maestro Michel, sempre affiancato dal suo inseparabile Jean-Guy Gabriel (nostro vice-maestro, genio proveniente dalla Réunion) era il “mago della plastica”. Michel, di formazione era ingegnere ferroviario e, per quella sua attività, aveva iniziato a studiare come realizzare gli scudi frontali dei locomotori ricavandoli in un sol pezzo da una stampata in composito. Innovazione geniale che ha rapidamente trasferito alla sua passione per la nautica. Da lì i Garroni hanno cominciato a mangiare pane e resina… nel vero senso della parola, visto il mio appiccicoso stage nelle linee dei Prestige 36, le cui imbarcazioni prodotte contenevano più esiti del mio villoso giovanile torace che fibra di vetro. Dalla storia scherzosa a quella reale, con qualche inevitabile parallelismo con il mondo della vela e confronti con le storie delle analoghe situazioni germogliate in Italia. Quasi un decennio prima del Prestige 36 c’era stata il Prestige 41, precursore della gamma, sempre by Garroni, che ebbe grande notorietà in Patria grazie ad Alain Delon che ne acquistò uno dei primi esemplari, ed attirò anche l’attenzione di tale Norberto Ferretti, già noto costruttore romagnolo di innovativi motor-sailer. Ne scaturì una joint-venture di scarso seguito con Jeanneau, ma fu il trampolino di lancio di Ferretti nel mondo della nautica a motore. Coincise anche con la fase di acquisizione di Jeanneau da parte di Bénéteau, costituendo così il primo robusto nucleo industriale nautico francese. Sarebbe bello dilungarsi nell’episodica storica della nautica francese e franco-italiana, ricca di aneddoti che potranno fare l’oggetto di eventuali future digressioni su queste pagine. Vorrei, invece, introdurre da subito il tema delle identità, che ho vissuto, e continuo a vivere, in prima persona e che costituisce il ceppo dal quale si sono biforcati i due mondi di matrice “latina”, francese e Italiano, fra loro assai diversi ancorché fratelli. Ciò mi conduce alla contrapposizione celtica perché la Nautica nasce nel modo anglosassone, su entrambi i fronti dell’Oceano, ma questa è storia lontana. Anche il suo sviluppo contemporaneo su tali mercati fa storia a sé, almeno fino ad oggi, visto che il colosso francese che ha steso la mano sulla cantieristica d’oltreoceano. Questo potrà essere un altro interessante argomento da sviluppare, andando a evidenziare le contaminaz ioni f ra naut ica e automotive. Tornando al l ’ i - dentità, è innegabile che, alla base delle divergenze, stiano i caratteri intrinsechi delle due culture: creatività per quella Italiana, pragmatismo per quella francese. La forza dell’Europa sta proprio in questa frammentazione culturale, maturata nell’ambito dello stesso vicinato, che conduce a una sommatoria di valori di indubbia valenza. Tornando alle basi, però, è interessante analizzarne le differenze. La nautica francese, come accennato, trova il suo sviluppo avvalendosi dell’innovazione tecnologica: l’introduzione della metodologia dei compositi, realizzabili su stampi, che garantiscono la perfetta identità dei manufatti riprodotti nella serie e ne promuovono la moltiplicazione industriale, la conseguente riduzione dei costi per ogni singolo prodotto e la sua diffusione a livello popolare. La nautica italiana, invece, ancorché contagiata dall’industrializzazione, cerca e continua a cercare l’individualità, riproponendola anche nella serie. Ne scaturiscono due offerte di mercato, quasi non in concorrenza fra di loro, perché rivolte a due clientele differenti, non per censo, ma per cultura. Temo che lo spazio sia con noi severo, su queste pagine, e ci imponga di rimandare assai più divertenti approfondimenti alle eventuali disponibilità editoriali future. Ciò non di meno, sono sempre interessato a riprendere il dibattito anche nelle numerose sedi convivial-commerciali che riuniscono tutti noi, appassionati di nautica. Un caro saluto a tutti Camillo dé Camilli, anche un po’ Garroni. Dalla Storia all’identità

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