Introduzione
Sono varie le motivazioni che possono far preferire una barca stretta a una
barca larga o viceversa. Perciò è curioso che geometrie e forme diverse, come
la larghezza massima di uno scafo, possano far ottenere risultati dinamici e
prestazionali del tutto simili. Accadeva già nei primi anni del secolo scorso,
quando gli skimming dishes americani sfidavano in regata i plank on edge
inglesi mostrando prestazioni compatibili e dando vita alla diatriba, ormai
centenaria, che contrappone i sostenitori delle barche larghe a quelli delle
barche strette. Il confronto è arrivato ai nostri giorni, rinnovato grazie alle
moderne tecnologie progettuali e costruttive che hanno rimesso in gioco
argomentazioni vecchie di decenni. Oggi la progettazione è più mirata e meno
dispersiva di quanto accadeva una volta e le specifiche iniziali, che
definiscono profondamente ogni yacht, trovano sempre più spesso completa
soddisfazione nel prodotto finito. Ci si aspetterebbe quindi che gli yacht più
recenti e destinati allo stesso impiego si assomiglino tutti fra loro, cosa che
avviene solo in parte, più spesso a causa di mode o di regolamenti di stazza
che non per reali esigenze progettuali.
Limitandosi a considerazioni legate unicamente alle forme di carena e alle
scelte attuate da diversi progettisti all’inseguimento del miglior compromesso
per una barca da crociera veloce, è interessante notare quanto una dimensione
macroscopica come la larghezza dellacarena, finisca per contraddistinguere un
progetto. Di fatto, il baglio massimo, più o meno indirettamente, influisce su
parametri sostanziali come, per esempio, il coefficiente prismatico o la
superficie bagnata piuttosto che la massima immersione del corpo canoa. La
tipologia della barca da crociera veloce è sicuramente la più diversificata e
raccoglie da sempre non solo interessanti one off, ma anche produzioni in serie
all’avanguardia; alla base di ciò vi è sicuramente la considerazione che il
concetto stesso di crociera veloce è passibile di diverse interpretazioni. Per
questo motivo è stato scelto di confrontare tra loro cinque tipologie di unità
per la “crociera veloce” di lunghezza che si aggira intorno ai dodici metri.
Vogliamo ribadire che ci siamo fermati a barche che possono concretamente
essere usate per il diporto da equipaggi di buona esperienza che sappiano
esprimere le corrette prestazioni ma non verso tipologie più esasperate o da
regata come potrebbero essere i nuovi open 40. La scelta è caduta su tipi di
yacht che coprono un ventaglio abbastanza ampio di impiego e di concezione:
dalla barca d’epoca concepita su forme di carena raffinate come quelle che Olin
Stephens ha disegnato per lo swan 41 prodotto dal 1973 al 1977, passando per
un glorioso fast cruiser come il Jeanneau Sun Fizz di Philippe Briand della
prima metà degli anni ottanta, fino alla barca moderna per regatare in Irc del
tipo del nuovo First 40 di Bruce Farr, per arrivare, infine, ai due estremi
opposti come possono essere la larga Azurée 40 di Giovanni Ceccarelli, proposta
anche con chiglia basculante e foils retrattili, e la strettissima carena messa
a punto dallo Studio Luca Brenta per il suo B42. Azurée 40 ha interni completi
da crociera, compresa l’aria condizionata, mentre il B42 è indirizzato all’uso
giornaliero, con buone finiture ma poche dotazioni.
Largo/leggero stretto/pesante
Il tipo di navigazione per cui si ottimizza una barca influenza il disegno
delle sue forme di carena, quindi il piano velico e le appendici. Esistono
geometrie migliori per specifiche condizioni di navigazione: questo, per
esempio, è evidenziato da due tipologie di moderni yacht da regata come gli
Iacc delle recenti edizioni della Coppa America e i Volvo 70, barche a vela che
dal punto di vista architettonico e concettuale si trovano ai due estremi
opposti della scala evolutiva dello yacht design. Gli Iacc hanno saputo mettere
in gioco eccezionali doti boliniere, i Volvo 70 impressionano per prestazioni
con venti portanti, registrando velocità medie che, solo fino a qualche anno
fa, erano dominio dei multiscafi più spinti. A prescindere dal forte controllo
esercitato dalle formule di stazza sull’architettura degli Iacc e dei Volvo 70
si possono estrarre considerazioni abbastanza generali da questi due tipi di
barche a vela. Non è un caso, infatti, che gli yacht nati sotto il regolamento
Iacc, relativamente pesanti e dotati di un raddrizzamento dato quasi
esclusivamente dalla zavorra, abbiano scafi strettissimi e con linee di carena
votate al contenimento della resistenza d’onda fino ai limiti più alti del
regime dislocante. Non è neppure un caso che i Volvo 70 siano leggerissimi,
larghi e con forme di carena pensate per generare un sostentamento dinamico che
consenta di superare con una certa agilità la velocità di carena; la loro
rigidità alla tela è garantita sì dalla possibilità di basculare la deriva, ma
anche da una stabilità di forma molto sviluppata.
Dal punto di vista statico, si possono fare considerazioni scontate, ma del
tutto valide. Non è certo un fatto trascurabile che una barca larga offra
volumi interni maggiori e ampie superfici calpestabili esterne, una stabilità
di forma più alta, quindi un momento raddrizzante intenso soprattutto nei primi
gradi di sbandamento. Dal punto di vista dinamico, una barca stretta può
mettere in gioco equilibri legati a un movimento in acqua che, in certe
situazioni specifiche,può essere tanto migliorativo da non far troppo
rimpiangere la perdita di spazio vivibile a bordo. In effetti, il moto ondoso e
l’azione del vento sulle vele affrontati alle diverse andature introducono
forze che non sono costanti e che innescano movimenti fortemente dipendenti
dalle caratteristiche inerziali e geometriche della barca stessa. Ne sono
esempi il periodo caratteristico di beccheggio, quello di rollìo, ne sono una
prova anche instabilità dovute al rollìo nelle navigazioni al lasco:
caratteristiche che si riescono qualitativamente a prevedere in fase
progettuale e che contribuiscono a definire, quantomeno a grandi linee, le
forme delle carene più adatte a dati impieghi.
Seppure imbarcazioni estreme, gli Iacc e i Volvo 70 sono definiti dagli stessi
parametri progettuali che un designer si trova a dover pesare e calibrare ogni
volta che deve tirare le linee di una barca a vela. I fast cruiser moderni,
oggigiorno quasi del tutto svincolati dalle forme imposte dal regolamento Ims,
devono avere un range di impiego più ampio di quanto non sia quello richiesto
da una barca da regata che nasce per i percorsi a bastone piuttosto che per
navigare quasi esclusivamente al lasco. Questo fatto premia forme e soluzioni
che si avvicinano al miglior compromesso, stimolando i designer a ricercare
architetture sempre più raffinate, a volte, addirittura miscelando le soluzioni
che più tradizionalmente parrebbero essere agli antipodi. In quest’ottica, che
vede l’analisi esasperata di un compromesso che sia il migliore possibile,
sembra quasi una soluzione scontata quella, per esempio, adottata dallo Studio
Luca Brenta che per il B42 ha disegnato una carena strettissima come può essere
quella di un Coppa America, ma ha tenuto un dislocamento estremamente leggero
come vuole lo stile dei Volvo 70 piuttosto che dei recenti Open 60: il
risultato è una barca molto boliniera, ma anche in grado di planare al lasco.
Qual è la giusta via? È difficile se non impossibile indicare una rotta
progettuale che sia univoca e anche credibile, rimane il fatto che una buona
barca a vela è quella che vanta coerenza progettuale e costruttiva: se è vero
che il B42 bolina in maniera eccezionale, è altrettanto vero che chi decide di
volerci navigare dodici ore con vento teso e la barca sdraiata a 30 gradi, deve
essere ben conscio che la qualità della vita a bordo non sarà mai come quella,
per esempio, che ci potrà essere sull’Azurée 40 che, largo e poco sbandato,
permette maggior comfort pur sacrificando qualche grado al vento e qualche
decimo di nodo. Per questo il B42 è nato come daysailer, nonostante interni
raffinati e accoglienti, e l’Azurée 40 come barca adatta anche a lunghe
navigazioni. Rimane credibile l’idea che, come vuole la tradizione dello yacht
design, barche dedicate a navigare con venti portanti poco numeroso e
amatoriale si trovi a navigare al lasco a più di 20 nodi tra grandi onde: è
allora lecito domandarsi quale sia la coerenza tra il mezzo e l’equipaggio. Lo
stesso vale per una barca stretta e affilata che bolina sbandata tanto da
mettere la falchetta in acqua, portata da un equipaggio che, bagnato e
fortemente vincolato nei movimenti, è salpato con l’idea di godersi una
tranquilla crociera. Il concetto di sicurezza in crociera, e più in generale di
navigazione a vela, esula dalle intenzioni di questo articolo seppure
rappresenti un aspetto su cui è doveroso ragionare nella fase di definizione
delle specifiche ancor prima che in sede progettuale.
La prova
Il distinguo fra imbarcazioni larghe e strette, già un po’ troppo grossolano
quando si confrontano fra loro yacht della stessa categoria e della stessa
generazione, può divenire oggetto di curiose elucubrazioni quando lo si esamina
passando per l’osservazione dell’evoluzione progettuale nel corso degli anni:
sono macroscopiche le modifiche che il tempo ha delineato su alcuni parametri
geometrici caratteristici. Un esempio è il coefficiente prismatico (Cp) il
parametro che indica il riempimento del solido regolare che contiene la carena:
più è pieno più il Cp è alto. Mentre in una vecchia barca stretta poteva essere
molto basso, per una barca moderna è più spesso alto, una curiosità che si
rispecchia in esigenze d’impiego ben diverse. Il Cp delle barche Iacc per
esempio, molto strette in relazione alla lunghezza è molto alto, che indica
estremità molto piene e sezioni maestre poco immerse. In questo articolo
abbiamo preso ad esempio alcune imbarcazioni per la crociera veloce intorno ai
dodici metri di lunghezza, che coprono un ventaglio temporale e architettonico
abbastanza ampio. Non avendo a disposizione i dati originali di progetto
abbiamo disegnato cinque scafi fortemente ispirati ad altrettanti importanti
progetti che sono i testimoni di tipologie e tempi, riferimenti nel campo dell’
evoluzione progettuale: lo Swan 41 di Olin Stephens prodotto dalla prima metà
degli anni settanta, lo Jeanneau Sun Fizz di Philippe Briand della prima metà
degli anni ottanta, il nuovo Bénéteau First 40 di Bruce Farr, il B42 dello
Studio Luca Brenta e l’Azurée 40 di Giovanni Ceccarelli, quest’ultimo proposto
anche con chiglia basculante e foils retrattili. Come è possibile osservare
dalle linee d’acqua e dai relativi piani velici, le cinque imbarcazioni, pur
appartenendo tutte alla categoria dei fast cruiser, sono caratterizzate da
sostanziali differenze nelle forme degli scafi, delle derive e dei piani velici
(Figura 1).
Due carene strette tipo quella dello Swan 41 e del B 42 hanno in realtà un’
impronta in acqua ben diversa, fatto che ne qualifica il comportamento in
navigazione ma anche l’evoluzione che c’è stata. Fra i diversi scafi si nota
una netta differenza nella disposizione dei volumi immersi, caratteristica che
influenza direttamente la forma dell’onda di carena e quindi la resistenza all’
avanzamento nelle diverse andature e alle diverse Dimensioni generali velocità.
È doveroso specificare che la tipologia costruttiva impiegata per le cinque
barche, per motivi di costi o per disponibilità tecnologica, ha influenzato
inevitabilmente la progettazione delle barche stesse. Questo è un aspetto di
cui spesso si tiene poco conto nelle discussioni di banchina, talvolta fondate
più su impressioni emotive che dati di fatto. C’è una tendenza a negare il
valore dell’evoluzione che c’è stata, invece sarebbe bene tenerne conto.
Prestazioni e geometrie
Confrontando con l’uso di un Vpp (velocity prediction program) le prestazioni
dei cinque tipi di yacht presi come esempio, si ottengono risultati
interessanti. Si vede subito quanto le barche ottimizzate a soddisfare esigenze
puramente prestazionali siano veloci già con pochi nodi di vento reale (Figura
2).
Con soli tre nodi d’aria lo stretto tipo del B 42 è il più veloce ad ogni
andatura, grazie fondamentalmente a forme di carena che mantengono una
resistenza ridotta anche a bassi numeri di Froude. In effetti, una carena
stretta, le cui sezioni sono abbastanza arrotondate offre una contenuta
superficie bagnata, fatto che migliora nettamente la componente della
resistenza dovuta all’attrito, dominante alle basse velocità. L’Azurée 40,
nonostante una superficie velica molto sviluppata, con poco vento è superiore
per prestazioni solo in certe andature al meno tirato First 40, complice
sicuramente uno scafo largo e piatto che genera molta superficie bagnata. In
condizioni di poco vento, evidentemente, pagano un forte dazio alle performance
le barche più pesanti e meno invelate, quelle, cioè, in cui il bilancio fra
resistenza e la potenza massima è sfavorevole. All’aumentare dell’intensità del
vento il divario prestazionale fra i due tipi più performanti, il B 42 e l’
Azurée 40, e i tipi più votati alla crociera cresce, mentre è curioso notare
come un buon compromesso come il tipo del nuovo First 40 rimanga sempre a metà
strada fra le soluzioni più sportive e quelle meno sportive (Figura 3).
Si può forse affermare che il First 40, barca totalmente abitabile, è la
corretta evoluzione del tipo “cruiser racer” tradizionale, sempre più veloce e
tutto sommato anche sicuro dei 40 piedi che lo hanno preceduto. Con molto vento
pare evidente il vantaggio del tipo dell’Azurée 40 dotato di chiglia
basculante, che sembra capace di planare più agevolmente di quanto riesca a
fare il tipo del B 42 nelle andature da 90 a 130 gradi al vento reale, mentre
nella bolina e nel gran lasco vanno a predominare le forme affilate del B 42
(Figura 4).Un’indicazione di questi risultati viene già dall’osservazione delle curve di
resistenza all’avanzamento all’aumentare del numero di Froude, e quindi all’
aumentare della velocità della barca stessa. Si vede, infatti, che alle basse
velocità la carena del tipo dello Swan 41 pare essere la più efficiente, mentre
la peggiore è proprio quella larga e dalle sezioni piatte del tipo dell’Azurée
40, una conseguenza, come già accennato, della sviluppata superficie bagnata
(Figura 5).
In realtà, le differenze di resistenza all’avanzamento nel campo delle basse
velocità, cioè quelle inferiori alla velocità di carena (numero di Froude
inferiore a 0,4), non sono poi così marcate come si evidenzia una volta che il
numero di Froude supera il valore di 0,35. Nel campo delle alte velocità,
infatti, si crea un ampio divario fra le carene leggere e dalle forme pensate
per facilitare l’ingresso in planata e quelle più pesanti, che restano
inevitabilmente dislocanti, come si vede dalla differenza di resistenza fra la
carena tipo dello Swan 41 e quelle dei tipi dell’Azurée 40 e del B 42 (Figura
6).
È curioso e doveroso osservare a quali angoli di sbandamento queste
imbarcazioni riescono a sviluppare le prestazioni definite dalle curve di
velocità. La forma stretta dello scafo del tipo del B 42 paga un raddrizzamento
di forma molto basso, mentre la sua altissima percentuale di zavorra
concentrata nella grossa torpedine comincia a lavorare all’aumentare dell’
angolo di sbandamento, fatto che distingue il tipo del B 42 come quello che
sbanda di più. All’estremo opposto di questo confronto c’è il tipo dell’Azurée
con chiglia basculante, che grazie anche ad un raddrizzamento di forma
importante, risulta sbandare molto poco, al limite niente, a qualsiasi andatura
(Figura 7 e Figura 8).Con vento intenso emerge l’equilibrio di barche del tipo del Sun Fizz e ancor
di più dello Swan 41, che mantengono uno sbandamento limitato e quindi un
comfort di bordo sicuramente maggiore di quanto non accada con il tipo del B 42
(Figura 9).
L’aspetto dello sbandamento è in ogni caso evidenziato dalle curve di
raddrizzamento statico che confermano quanto più o meno si evince dai grafici
precedenti: a piccoli angoli di sbandamento le forme larghe del tipo dell’
Azurée 40 premiano un grande raddrizzamento, mentre man mano che il baglio
massimo si riduce ed aumenta il raddrizzamento di peso rispetto a quello di
forma, il picco massimo si sposta verso angoli di sbandamento maggiori (Figura
10). Allo stesso modo, si nota come l’angolo AVS (Angle of Vanishing Stability),
cioè l’angolo di sbandamento al quale il raddrizzamento è nullo, è decisamente
maggiore nei casi in cui il raddrizzamento di peso prevale su quello di forma.
Nel caso specifico, si vede come il tipo del B 42 sia in grado di raddrizzarsi
da solo fino ad uno sbandamento di ben 155°, cosa che, con chiglia basculata, l’
Azurée 40 riesce a fare solo fino a 115°. In realtà, l’aspetto del
raddrizzamento statico più interessante è forse quello legato all’area sottesa
fra la curva di stabilità nella zona negativa e l’asse orizzontale del grafico,
che è indicativa dell’energia necessaria alla barca per raddrizzarsi da una
scuffia a 180 gradi.
È evidente quanto l’area sottesa dal diagramma del tipo del B 42 sia piccola
rispetto a quella del tipo dell’Azurée 40: a barca capovolta, basta davvero
poco perché il B 42 riesca a ritornare in posizione corretta, mentre è
decisamente più laborioso raddrizzare l’Azurée 40. Si può far risalire queste
due barche alle due grandi famiglie dei moderni Coppa America, che via via sono
diventati sempre più stretti alla ricerca di forme scorrevoli, e a quella degli
open oceanici, dove per prime sono state sperimentate le chiglie basculanti, le
zavorre liquide e che favoriscono in ogni modo le andature portanti e la
planata sacrificando la bolina. Sono proprio queste barche che hanno mostrato
di non gradire la posizione capovolta dalla quale faticano a riprendersi, ma in
condizioni estreme dell’oceano Indiano. In questo caso è proprio la chiglia
basculante a creare una asimmetria che favorisce il raddrizzamento con i
movimenti indotti dalle onde.
Dopo queste considerazioni, è interessante osservare quanto simili siano le
prestazioni dei tipi dell’Azurée 40 e del B42, nonostante geometrie e
architetture molto diverse. Quello che il tipo del B 42 paga al tipo dell’
Azurée 40 in comfort dovuto ad uno sbandamento accentuato, lo guadagna in
termini di prestazioni nelle condizioni di navigazione con venti leggeri. Dando
un’occhiata alle statistiche di carena che raccolgono una casistica delle
geometrie più diffuse, si può osservare come i due tipi di barche da crociera
veloce più estremi, siano proprio quelli che si discostano maggiormente dalle
medie tabulate. Nel caso del rapporto fra lunghezza e larghezza (Figura11) si
vede come il tipo dell’Azurée 40 esca addirittura dal campo definito dalle
statistiche, mentre contro tendenza sembra essere il tipo del B 42 che,
estremamente stretto, non segue l’andamento che vede aumentare il baglio al
diminuire dell’età del progetto. Per quanto riguarda il diagramma che mette in
relazione il pescaggio del corpo canoa alla lunghezza, (Figura 12) si nota
quanto la riduzione del dislocamento negli anni, dovuta sì ad un’innovazione
della concezione progettuale, ma oprattutto alla disponibilità di tecniche
costruttive più evolute, abbia prodotto un’ampia riduzione dell’immersione
dello scafo, anche nel caso del tipo del B 42, che è molto stretto al
alleggiamento. Una condizione meglio espressa del diagramma che mostra una
relazione fra il dislocamento e la lunghezza dello scafo (Figura 13).
Molto interessante ai fini prestazionali dei tipi di barche presi in
considerazione è la relazione fra dislocamento e peso della zavorra, (Figura
14) che incide considerevolmente sulle capacità raddrizzanti dei singoli yacht.
È curioso come questa relazione abbia portato a diminuire la percentuale di
zavorra nei progetti più recenti, con eccezione del tipo del B 42, dove la
quantità di zavorra supera il 50 per cento del dislocamento totale. In effetti,
le torpedini poste alle estremità di pinne di deriva sempre più profonde hanno
reso più efficiente la zavorra imbarcata, mentre la larghezza degli scafi ha
incrementato il raddrizzamento di forma. Quanto appena descritto è esasperato
nel tipo dell’Azurée 40 con deriva basculante; la possibilità di ruotare la
deriva sopravvento migliora l’efficienza della zavorra imbarcata, tanto più che
è possibile ridurne ulteriormente la quantità a favore di un risparmio
considerevole sul dislocamento finale e quindi, come si vede dai grafici della
velocità, un miglioramento generale delle prestazioni. Basta confrontare fra
loro le prestazioni del tipo dell’Azurée 40 con e senza deriva basculante.