Leggere la crisi con le vendite dei fuoribordo
Per essere un’industria forte il nostro Paese ha bisogno di un mercato interno molto forte. Questo poco tempo fa era il comparto nautico che fino al 2011 ha venduto ben 29.000 fuoribordo, posizionandosi tra i primi due/tre mercati del Vecchio Continente. Poi il crollo.
Facciamo storia analizzando i dati delle vendite negli ultimi sette anni. Il 2006 ha segnato il record con poco meno di 31.000 motori venduti ai concessionari di varie marche, un primato con volumi che si sono attestati intorno alle 29.000 unità per alcuni anni. Il mercato italiano, in condizioni “normali”, vale circa 25.000/26.000 unità all’anno, molte, considerando che la potenza media è una delle più alte in Europa. Nel 2013, purtroppo, i motori venduti in Italia sono stati solo 11.100 con un calo (record negativo in Europa, peggiore di Spagna e Grecia) del 18,6% sul 2012 e del 64% rispetto al 2006.
Non si vede la fine di queste performance negative in Italia che permangono, mentre si intravede la ripresa in alcuni paesi UE e negli Stati Uniti dove le vendite sono in aumento già da due anni. La crisi mondiale dei consumi ha raggiunto in Italia livelli insopportabili e intollerabili.
Per contrastarne gli effetti negativi, noi operatori dobbiamo impegnarci a permettere agli italiani (che ancora possono) di spendere, ma soprattutto occorre attrarre investitori e clienti stranieri. È fondamentale ricreare le condizioni della ripresa attraverso operazioni capaci di generare fiducia verso il sistema Italia, perché non sono più sufficienti la cucina, le bellezze naturali e il patrimonio culturale. Gli altri Paesi hanno maggior appeal perché meglio organizzati e capaci di promuovere bene il poco che hanno.
E allora? Dobbiamo darci da fare per rendere “comprensibile” un Paese difficile come il nostro agli stranieri dotati di maggior senso civico e non in grado di comprendere gli assurdi barocchismi della nostra burocrazia. Gli operatori italiani dovrebbero pretendere maggior rispetto e supporto dalla classe dirigente perché, se è vero che alcuni, grazie alle esportazioni, hanno risentito meno della congiuntura, molti altri, non strutturati, hanno difficoltà nel gestire la complessità di mercati lontani. Penso anche ai mercati del Nord Europa che non solo sono molto esigenti sotto l’aspetto dei servizi, ma richiedono anche imbarcazioni adatte all’uso specifico del territorio, dove la tipologia più richiesta è quella degli scafi di alluminio.
Per capire la distanza tra la nostra cultura e quella di nazioni pronte a cavalcare la ripresa, cito alcuni esempi utili per chi vorrà assumersi la responsabilità di gestire il nostro comparto e riportarlo in auge.
In Svezia, dove c’è uno tra i più alti rapporti barca/abitante, esiste un principio che si chiama “Allemansretten” (il diritto di tutti) che permette di spostarsi ovunque su terra o acqua, salvo dove espressamente proibito. In Italia è il contrario. E ancora, sul lago di Costanza le leggi sulla navigazione vengono fatte di comune accordo tra gli stati confinanti (Svizzera, Germania e Austria). Da noi, invece, accade che sul lago Maggiore le regole siano diverse tra la costa lombarda e quella piemontese... Lo stesso scenario si ripete per aprire un’attività: le norme cambiano anche solo spostandosi da un comune all’altro.
La ricetta per risolvere i nostri problemi è semplice e l’insegnamento lo dà la storia.
In ogni paese il grande salto verso il benessere è stato creato dalla realizzazioni di reti: i romani grazie alle grandi strade e agli acquedotti hanno creato un impero, l’Inghilterra con la rete navale ha conquistato il mondo, gli Stati Uniti con il network ferroviario hanno unificato un continente anche nei costumi. Così noi dobbiamo ripartire da questi insegnamenti, fare squadra per costruire reti a beneficio di tutti gli italiani e non.
Ne abbiamo già due da realizzare in poco tempo e solo da collegare in circuito: la rete culturale e quella dei porti a mare. Per la prima dobbiamo utilizzare solo il 75% delle opere del Globo (vi pare poco?), mentre per i porti abbiamo “solo” 8.000 chilometri di coste fra le meno navigate del mondo. Il nostro clima unico e temperato aiuterebbe molto.
E’ importante allora che, oltre agli sforzi e alle azioni promossi finora da Ucina e dagli operatori di settore, si unisca l’impegno del (finora) latitante “sistema Italia” per creare le condizioni atte ad attirare i diportisti stranieri attraverso la rete dei porti, dei noleggi e altro ancora in sinergia con l’offerta generale di servizi turistici.
Inoltre occorre lavorare su una promozione efficace e organizzata del Paese all’estero, perché attualmente trovare informazioni sull’offerta nautica/turistica italiana è tutt’altro che semplice. Serve anche maggior senso civico e per cominciare bisogna semplificare e uniformare le regole, migliorare la cultura del mare nelle scuole e non solo, far pagare chi infrange le regole e lasciare che le persone corrette si divertano in pace spendendo e creando ricchezza.Ricordando a chi ci legge che per ogni impresa di successo, c’è sempre una scelta da fare: o accettare le condizioni preesistenti o accettare la responsabilità di cambiarle.
di Ferruccio Villa