Insieme per ricostruire
E’ arrivato il tempo di voltar pagina e ricominciare, dall’esperienza fallimentare del Salone di Genova, per dar vita a un progetto responsabile di nautica per tutti
Ci sono riusciti a distruggere quel patrimonio che la nautica e il Salone di Genova hanno rappresentato in cinquantadue anni. Ci sono riusciti a lasciare che l’industriosità, il lavoro e la tradizione vengano dispersi, muoiano o siano esportati all’estero, così pronto a raccogliere la nostra arte di costruire barche.
Alla base l’incapacità di fare sistema tipica del nostro Paese e la capacità, altrettanto nazionale, di far succedere tutto per non cambiare nulla, scaricando colpe e responsabilità sempre su altri. E le macerie della nautica italiana le abbiamo viste a Genova. Oggi, immaginare un futuro è più difficile.
Sul banco degli imputati: oltre alla crisi, l’avidità e la disattenzione della politica, l’incapacità di Fiera di evolversi con i tempi, l’azione non sempre incisiva di Ucina, ma anche quegli evasori che hanno impoverito il tessuto sociale non capendo che, senza un apporto responsabile, non si va da nessuna parte. Per anni uno dei cavalli di battaglia preferiti è stato il Salone dei record, il primo al mondo con le barche più belle e le darsene stracolme, cavalcato senza distinzione di parte, mentre si stava creando un vuoto su cui diventava sempre più difficile costruire.
Per immaginare un futuro sarebbe un errore ripartire solo dal Nautico, sperando in salvifiche quanto inutili fughe verso altre sedi. Certo, occorre concentrarsi su un evento più leggero, (soldi non ce ne sono per costosi progetti), prevalentemente sull’acqua, dalla durata più breve e prezzi accessibili a tutte le aziende della filiera. Ma bisogna ripartire da più lontano coinvolgendo tutti gli attori (nel servizio a pag. 26 abbiamo raccolto le opinioni di alcuni importanti operatori).
Il disastro è sì dovuto alla crisi globale, ma anche al Governo capace solo di un atteggiamento che si è rivelato negativo, pregiudizievole e dannoso per lavoratori e diportisti. E a deludere sono stati proprio quei tecnici che sulla nautica hanno compiuto uno degli autogol più clamorosi (vedi la pasticciata introduzione della tassa di possesso).
Per invertire la marcia il tempo scarseggia, sul tavolo pochi e urgenti problemi sui quali l’Esecutivo non deve indugiare: un redditometro più equo che non discrimini pesantemente i proprietari di imbarcazioni rispetto a quelli di altri beni voluttuari, un registro unico e digitale delle immatricolazioni per semplificare i controlli, e lo snellimento burocratico.
Per non parlare del problema di sempre: i porti. Per mettere la gente in barca ci vogliono strutture snelle con pontili galleggianti o recuperando bacini dismessi, non c’è bisogno, come troppo spesso accade, di progetti ambiziosi con ormeggi offerti a prezzi esorbitanti con l’unico risultato di limitare l’accesso ai molti. Si parla tanto di piccola nautica, ma in Italia gli scivoli a mare sono una specie in via d’estinzione. Sono queste le vere barriere che impediscono a tanta gente di navigare, gente normale, non milionari.
La crisi sta cambiando il mondo e anche la nautica deve cambiare. Con comportamenti più consapevoli e, soprattutto, una strategia comune.