Si immagina che anche nel campo di applicazione del CND emergeranno, in tema di sequestro, le problematiche già viste in ambito di circolazione stradale che, come si è visto, prevede in determinati casi il sequestro a fini di confisca (art. 186, comma 2, lettera c) e art. 187, comma 1).
Si richiamano, pertanto, le soluzioni ormai consolidate della Corte di cassazione, la quale ha affermato che la confisca del veicolo intestato a un terzo sia esclusa "solo quando questi risulti del tutto estraneo al reato e in buona fede, intesa quest'ultima come assenza di condizioni che rendano profilabile a suo carico un qualsiasi addebito di negligenza da cui sia derivata la possibilità della circolazione del mezzo" (Cass. Pen., Sez. IV, 8 ottobre 2012, n. 39777), riaffermando per esempio che il concetto di "appartenenza" deve intendersi, "non in senso tecnico, come proprietà od intestazione nei pubblici registri, ma quale effettivo e concreto dominio sulla cosa, che può assumere la forma del possesso o della detenzione, purché non occasionali" (Cass. Pen., sez. IV, sentenza 1° giugno 2010 n° 20610, in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo il sequestro di uno scooter, formalmente intestato alla madre dell'imputato ma in uso a quest'ultimo).
Concludendo, relativamente alle unità concesse il leasing, prassi molto diffusa nel mondo della nautica da diporto, la Suprema Corte ha deciso che "non è confiscabile la vettura condotta in stato di ebbrezza dall'autore dei reato, utilizzatore del veicolo in relazione a contratto di leasing, se il concedente, proprietario del mezzo, sia estraneo al reato"
[1].
Rapporti con il delitto di ubriachezza di cui all’art. 1120 codice della navigazione:
La norma previgente – che non risulta essere stata abrogata dal rinnovato codice della nautica da diporto – recita “Il comandante della nave, del galleggiante o dell'aeromobile ovvero il pilota dell'aeromobile, che si trova in tale stato di ubriachezza, non derivata da caso fortuito o da forza maggiore, da escludere o menomare la sua capacità al comando o al pilotaggio, è punito con la reclusione da sei mesi ad un anno.
Il componente dell'equipaggio della nave, del galleggiante o dell'aeromobile ovvero il pilota marittimo, che, durante un servizio attinente alla sicurezza della navigazione o nel momento in cui deve assumerlo, si trova in tale stato di ubriachezza, non derivata da caso fortuito o da forza maggiore, da escludere o menomare la sua capacità a prestare il servizio, è punito con la reclusione da uno a sei mesi.
Le precedenti disposizioni si applicano anche quando la capacità al comando o al servizio è esclusa o menomata dall'azione di sostanze stupefacenti.
La pena è aumentata fino a un terzo, se l'ubriachezza o l'uso di sostanze stupefacenti sono abituali”.
Va anzitutto osservato che la norma prevista dal codice della navigazione, se riferita al diporto, relativamente a comando, condotta o direzione nautica, comprende esclusivamente il comandante, il componente dell’equipaggio della nave o il pilota marittimo, quali unici possibili autori del reato e la nave
[2] quale unica costruzione destinata alla navigazione da diporto inclusa nelle definizioni introdotte dal nuovo art. 3 del CND.
Si restringe, pertanto, il possibile campo delle sovrapposizioni che, tuttavia, potrebbero manifestarsi in caso di comando o conduzione della nave in stato di ebbrezza alcolica o a causa dell’utilizzo di sostanze stupefacenti che abbiano comportato l’esclusione o la menomazione della capacità al comando o al servizio.
Molto fragili i confini anche tra le condotte previste dai vari precetti (stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche – art. 53 bis CND -, stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti o psicotrope – art. 53 quater CND – e, infine, esclusione o menomazione della capacità al comando o alla conduzione dovuta a stato di ubriachezza – art. 1120 CN -), molto difficili gli accertamenti nell’esperienza del codice della navigazione, che non prevedeva strumenti di verifica. Certamente possibili nella realtà alcune tappe giurisprudenziali che potrebbero doversi occupare di decidere se si rientri nell’area di rilevanza penale o in quella delle sanzioni amministrative o di entrambe.
Sia permessa solo una breve riflessione relativamente all’ipotesi in cui si optasse per la coesistenza delle sanzioni: la giurisprudenza più illuminata e convenzionalmente orientata, in quanto attenta agli insegnamenti della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU) e della Corte di Giustizia, sarà in quel caso anche chiamata a valutare se non si tratti di sovrapposizione – vietata - di sanzioni di specie sostanzialmente penale
[3].
Conclusioni
Come spesso accade, quindi, va visto con favore l’aver introdotto una regolamentazione precisa con il più recente aggiornamento del codice della nautica da diporto, seppure, come spesso accade alle norme di recente emanazione, apparentemente le problematiche superino le disposizioni chiare.
Si ritiene, tuttavia, che un utilizzo cum grano salis delle norme, soprattutto se di carattere sanzionatorio e ancor più in quanto di recente emanazione, potrà costituire un equo deterrente rispetto a comportamenti pericolosi e antisociali, confidando, tuttavia, nell’evolversi della giurisprudenza avveduta, che fissi principi certi, che sappiano così guidare i comandanti.
Ciò però esprimendo l’auspicio che opportunità ragionevoli ed efficaci, come ipotesi di pagamento in misura ridotta, in determinati casi anche in deroga alle disposizioni dell’art. 16 l. 689/81
[4], magari con attenuazione o estinzione anche delle sanzioni accessorie, siano presto introdotte anche per la navigazione, che ci auguriamo di incrementare sempre più, non solo tra le norme di legge.
Così facendo, al pari di quanto già accade efficacemente con l’ammissione ai lavori di pubblica utilità nella circolazione stradale, si attenuerebbe quella che allo stato appare una violazione dei principi di ragionevolezza ed equità (rispetto alle norme che regolano l’analoga disciplina della strada), violazione che potrebbe anche portare a interessare della vicenda la Corte Costituzionale.
[1] Cass. pen., Sez. Unite, Sent. (ud. 19/01/2012) 17-04-2012, n. 14484.
[2] Articolo 3, lettere c), d) ed e) CND.
[3] Quanto alla classificazione delle sanzioni a effetto penale si richiama, per tutte, la sentenza Corte europea dei diritti dell’uomo 8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi, serie A n. 22, par. 82; quanto al divieto del ne bis in idem sostanziale, si consulti, tra le altre, la decisione Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 4 marzo 2014 - Ricorso n. 18640/10 - Grande Stevens e altri c. Italia; quanto all’identità del fatto, al di là dell’esatta contestazione, si richiama la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo del 10 febbraio 2009 Grande Camera, caso di Sergey ZOLOTUKHIN v. RUSSIA (Decisione n. 14939/03); quanto, infine, all’attuale stato dell’arte, si veda da un lato la posizione in parte “possibilista” di una coesistenza di sanzioni portata dalla sentenza Corte EDU, Grande Camera, 15 novembre 2016 A. e B. contro Norvegia, ricorsi nn. 24130/11 e 29758/11 e dall’altro gli sviluppi garantisti con le conclusioni dell’avvocato generale, Campos Sànchez-Bordona, nella causa Menci (C-524/15, del 12 settembre 2017), il quale nelle sue considerazioni afferma fermamente che “
l’articolo 50 della Carta, al pari dell’articolo 4 del protocollo n. 7, sancisce il principio del ne bis in idem in quanto diritto fondamentale della persona, non soggetto a deroghe. Talvolta non si tiene sufficientemente conto di simile qualità e si fanno prevalere sul diritto in parola considerazioni di ordine economico (la situazione delle finanze pubbliche, ad esempio), che, pur essendo perfettamente legittime in altri ambiti, non sono sufficienti a giustificarne la limitazione”. Così facendo l’Avvocato generale ha rinviato al giudizio della Corte di Giustizia la scelta tra principi che si riaffermano decisamente come fondamentali.
[4] Come per esempio dal 2013 è possibile nel caso dell'art. 202 del CdS (“
Per le violazioni per le quali il presente codice stabilisce una sanzione amministrativa pecuniaria, ferma restando l'applicazione delle eventuali sanzioni accessorie, il trasgressore è ammesso a pagare, entro sessanta giorni dalla contestazione o dalla notificazione, una somma pari al minimo fissato dalle singole norme. Tale somma è ridotta del 30% se il pagamento è effettuato entro cinque giorni dalla contestazione o dalla notificazione”).