La 36esima America’s Cup presented by Prada scatterà il 6 marzo e si disputerà al meglio delle quindici prove, con la Coppa che sarà alzata al cielo dall’equipaggio che per primo otterrà sette vittorie. Molto probabilmente sarà nel fine settimana del 13 e 14 marzo che sapremo se la vecchia brocca del 1851 resterà in Nuova Zelanda oppure sarà imbarcata per l’Inghilterra (dove sognano di vederla tornare dopo averla vista andare via 170 anni fa a poche ore dalla sua realizzazione), per gli Stati Uniti (sulla costa est, dove ancora brucia la sconfitta del 1983 per mano degli australiani, che l’avevano tolta dalla bacheca del New York Yacht Club dopo 132 anni di custodia) o, magari, anche se fa tremare le gambe solo pensarlo, per l’Italia (prima tappa al Circolo della Vela Sicilia, che rappresenta lo squadrone di Patrizio Bertelli, poi a Cagliari, la vera base italiana di Luna Rossa).
Grande protagonista della 36esima America’s Cup è la classe AC75. La barca (lunga 22,86 metri, larga non più di 5 m, portata da undici persone d’equipaggio), nel Protocollo della Coppa è definita un monoscafo. Tuttavia, per via del fatto che lo scafo non tocca praticamente quasi mai l’acqua, ma naviga sulla superficie del mare sollevato da due grandi bracci laterali che terminano con i foil, l’AC75 ha un’identità forse più simile a un catamarano. Nella realtà, non è nessuno dei due. In questo, la Coppa America si conferma ancora una volta la regata più innovativa che ci sia. Già solo il fatto di non riuscire a definire la barca con una delle innumerevoli terminologie prodotte nel corso di anni di storia d’arte marinaresca, la dice lunga.
Che razza di mezzo sia l’AC75, prova a spiegarlo al velista di tutti i giorni Francesco Bruni, uno dei due timonieri di Luna Rossa: «Come i catamarani utilizzati per la Coppa di Bermuda, anche l’AC75 è una barca volante. Però, per certi versi, è meno complessa da timonare, perché chi ha la ruota in mano non deve più ragionare in 3D. Deve concentrarsi su poggiare e orzare e preoccuparsi del pitch (alzare o abbassare la prua per questioni aerodinamiche, ndr). L’altezza di volo (la distanza tra chiglia e acqua, ndr) ora la controlla il foil trimmer, ruolo ricoperto dal timoniere che si trova sottovento».
Luna Rossa in questo è stata all’avanguardia e ora gli altri team la copiano. Sin dal varo della prima barca ha adottato una randa senza boma, con la base aderente al piano di coperta. Quindi, il timoniere non può più passare da un bordo all’altro dopo ogni virata o strambata e, tantomeno, può governare restando sottovento. Così, la ruota a bordo la tengono in due (su Luna Rossa, oltre a Francesco Bruni, l’australiano James Spithill), scambiandosi ogni volta i compiti di timoniere e foil trimmer in base alle mura sulle quali stanno navigando.
Non è tutto così semplice, però. La ruota ha tanti pulsanti che permettono al timoniere di intervenire su diverse altre manovre: i settaggi dei foil e perfino la regolazione della randa (nonostante ci sia un randista tra gli undici uomini d’equipaggio). «Imparare a gestire tutti i comandi in automatico senza pensarci, come con la Playstation, sarebbe impossibile senza le ore di simulatore», racconta Bruni. «Ogni volta che si cambia l’hardware, è un momento delicato: all’inizio sembra tutto peggiorato, non sai più dove mettere le dita, ma bisogna solo abituarsi ai nuovi pulsanti».
L’AC75 sta diventando una barca sempre più veloce, per tutti i team. «Fa parte del processo di sviluppo e, man mano che andremo avanti con le regate, arriveremmo a ridosso dei 50 nodi», confessa Bruni, che aggiunge. «La tensione quando timoni non te la procura la velocità, alla quale con il tempo ti abitui, ma il pensiero di poter perdere il controllo della barca, per colpa di un comando che si blocca e che può provocare una forte decelerazione, uno sbandamento improvviso con il rischio di causare danni».
La velocità, che affascina il grande pubblico, non è un elemento prioritario neanche per Matteo Ledri, membro del design team di Luna Rossa, con il compito di analizzare le prestazioni. «Il campo di regata è un bastone bolina-poppa, ma stretto perché è delimitato dalle linee laterali, dalle quali non si può uscire. Per completare ogni lato le barche dovranno rimbalzare da una parte all’altra compiendo diverse virate e strambate», racconta. «Sarà più importante avere una barca capace di rimanere in volo e di non perdere velocità a ogni manovra. Le navigazioni sul dritto difficilmente saranno lunghe abbastanza da dare il tempo di raggiungere le velocità di punta».