Intervista a Giancarlo Pedote «prima la Transat Jacques Vabre, poi il Vendée Globe»

In partenza per la Transat Jacque Vabre a bordo di Newrest-Brioche Pasquier insieme allo skipper francese Fabrice Amedeo, il velista toscano ci racconta le sensazioni a bordo dell’Imoca 60 e i suoi progetti per il futuro
Raggiungiamo Giancarlo al telefono mentre cammina verso la banchina del porto di Le Havre, in Francia, dove è ormeggiato Newrest-Brioche Pasquier, l’Imoca 60 con cui domenica prossima, il 5 novembre, partirà per la Transat Jacque Vabre con destinazione Salvador de Bahia, in Brasile, per un totale di 4.350 miglia. Pedote l’ha già fatta due anni fa con il trimarano Multi 50 insieme a Erwan Le Roux finendo primo.

A questo link potrete seguire in diretta la partenza della regata!

Dopo le prime regate di qualificazione di fine estate, questa sarà la sua prima traversata oceanica con l’Imoca 60, anche conosciuto come “la barca del Vendée Globe”, il giro del mondo in solitario e senza scalo, il sogno non tanto nascosto di Giancarlo e di tantissimi altri velisti. La prossima edizione partirà nel 2020, semrano tanti anni ma un progetto del genere richiede una preparazione lunghissima, che è già iniziata: vediamo come.

Buongiorno Giancarlo, come si sente a poche ore dalla partenza di questa Transat Jacques Vabre?
«Mi sento in forma, anche grazie al fatto che ormai qualche traversata ce l’ho sulle spalle, mi sento meno stressato perché so cosa mi aspetta, riesco a concentrarmi meglio e convogliare le energie in quello che c’è da fare, è un bel momento per la mia carriera».

A poche ore dalla partenza della regata che meteo vi aspetta?
«Sarà una partenza su una coda di un fronte che sfogherà domenica sulla manica, partiremo con un flusso da nord di una quindicina di nodi che rinforzerà a 20, poi ci sarà un passaggio della dorsale sulla punta delle Bretagna lunedì e troveremo del flusso da sudovest associato a una depressione molto alta a ovest dell’Islanda che si estende con un fronte fino alla nostra zona. Navigheremo in questo flusso da sudovest per circa 80 miglia fino a che non incontreremo il fronte con una rotazione dei venti a nord ovest e li ci sarà da posizionare una virata al momento esatto. A quel punto apriremo le vele per le andature portanti per scendere verso Cap Finisterre, sarà una navigazione molto tonica, con vento instabile e rafficato sui 25/30 nodi che poi mollerà gradualmente e dovremo essere attenti a fare i cambi di vele al momento giusto. Ci sarà poi da fare un contornamento anticolonico posizionando le strambate al momento giusto e poi scendere giù con gli alisei».

Quante vele avete a bordo?
«Ne abbiamo tutti otto. Con andature portanti navighiamo in 25/30 nodi d’aria con una o due mani di terzaroli alla randa, dipende dalla densità dell’aria, e poi un A5, che è una vela di prua in fibre di Cuben di circa 220 mq; abbiamo poi un gennaker di 300 mq che usiamo fino 25/26 nodi e fino a 24 nodi c’è lo spi da 400 mq con calza, una vela molto impegnativa».

Quali sono le barche da battere?
«La nostra barca è un progetto di Farr del 2007, sappiamo bene che non possiamo competere contro le barche di ultima generazione, quelle dotate di foil, ci sono troppe differenze tecnologiche e sono anche due o tre nodi più veloci di noi. Faremo del nostro meglio per essere davanti alle barche della nostra stessa generazione, che sono cinque e faremo regata a parte (Giancarlo si riferisce a Familly Marie – Etamine Du Lys di Romain Attanasio/Aurélien Ducroz; La Mie Câline Artipôle di Arnaud Boissières/Manuel Cousin; La Fabrique di Alan Roura/Frédéric Denis e Vivo a Beira di Yoann Richomme/Pierre Lacaze)».
Giancarlo lei ha navigato su tante barche diverse, dai mini 6.50 di serie ai Proto, dal Figaro ai Class 40 fino ai trimarani Multi 50. Come è stato il passaggio agli Open 60 della classe Imoca?
«Mi sono trovato subito a mio agio proprio grazie a quelle esperienze, erano barche propedeutiche al 60’. Ho seguito il cammino più classico senza bruciare le tappe, se tutti fanno così perché avrei dovuto fare in modo diverso? L’Imoca è un grandissimo Mini 6.50, dal punto di visto tecnico ha due derive, chiglia basculante, i ballast e un computer per scaricare le immagini satellitari. Ho ritrovato tutto il funzionamento tecnico del Mini con, in più, la strumentazione elettronica che avevo sul Class 40. Non ci sono molte cose nuove, se non quei metri in più davanti alla barca, le vele più pesanti, e qualche cima in più nel piano velico, ma sono bastate 10/15 navigazioni per capito come funziona la barca».

La barca più tosta tra quelle usate in passato?
«Il Multi 50 è stata un’esperienza estrema: nel 2015 i trimarani non avevano ancora i foil e lo scafo sottovento spesso tendeva a immergersi. Non c’erano margini di errore, in caso di straorza la scuffia era sicura ed era un tipo di navigazione molto stressante. Non solo, cammini sulla rete, senza draglie, ti senti sospeso nel nulla, quasi perso, pensi spesso “ se ora c’è un contro movimento mi ritrovo fuoribordo in un attimo” e ogni volta che andavo a prua era un grande stress. Hai una tensione che ti permea il sangue e da cui non ti liberi mai. Se non avessi fatto queste esperienze, è probabile che oggi mi sarei trovato più in difficoltà».
L’Imoca è quindi una barca più facile?
«L’imoca 60 ti concede l’errore, se parti in straorza hai tutta la chiglia sopravento con 2/3 tonnellate di piombo, laschi la scotta e la barca si raddrizza per stabilità di peso e di forma: una consapevolezza capace di darti un comfort mentale non indifferente. È una barca meno estrema e più marina da un punto di vista della condotta, meno stressante, anche se è comunque una barca fisica, ogni vela pesa 20/30 kg in più rispetto a quelle dei Multi 50, ma la differenza è che ti muovi agevolmente. Ti senti più comodo, più lucido per fare la strategia di regata, non a caso sui trimarani si utilizza il routier, non hanno tempo di mettersi pure al carteggio, la vita è troppo complessa. Inoltre nell’Imoca vivi in un pozzetto protetto e asciutto, con i Multi 50 bastano 20 nodi di vento per ricevere una secchiata d’acqua in faccia al minuto e sentire 40 nodi di vento apparente negli occhi, e immagina questa vita per ogni turno che fai. Qui le secchiate non le prendi, a meno che non vai a prua o se c’è tempesta e il vento apparente è inferiore».

Dopo la Transat Jacques Vabre come si svolgerà il percorso verso il Vendée Globe?
«Nei prossimi mesi ricomincerò a lavorare duro insieme al mio sponsor Prysmian per far decollare il progetto giro del mondo, che al momento è ancora sul piano ideale, dobbiamo fare il passaggio al piano reale. Dobbiamo passare dal sogno alla concretezza, è un lavoro lungo e duro, stiamo andando avanti ma ancora non ci siamo».

Quali sono gli ostacoli più difficili da affrontare?
«Budget e ricerca dell’imbarcazione giusta. Il primo non è ancora finalizzato, per il secondo al momento non ci sono barche disponibili, le migliori sono state tutte già vendute. Ma sono positivo, a un certo punto qualche barca si libererà, qualcuno la venderà. Nell’attesa lavoriamo con gli sponsor e speriamo che, nel momento in cui saremo pronti, qualche barca si sarà liberata: magari qualche skipper decide di vendere la propria barca per costruirne una nuova o perché non trova i fondi necessari, vediamo».

Qual è il budget necessario per il Vendée Globe?
«Tra l’acquisto barca, assicurazione e un progetto che abbia interesse sportivo bisogna calcolare circa 1 milione e 200mila euro l’anno».
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