Le operazioni chirurgiche si svolgevano senza l’uso di anestetici, sebbene alcuni chirurghi ricorressero al laudano o ad altri oppiacei, come anche ad antidolorifici più comuni come rhum o vino. In queste condizioni primitive i chirurghi dovevano lavorare in modo molto rapido con strumenti estremamente rozzi. Tuttavia erano abili nell’amputare gli arti o nel cauterizzare le ferite bruciando la carne viva. Si usavano cinghie di pelle, bavagli e altri sistemi di contenimento per tenere sotto controllo i movimenti del paziente durante l’operazione, e inoltre il chirurgo si faceva anche aiutare da qualche marinaio forte di stomaco per immobilizzare il ferito durante un’amputazione. Un chirurgo particolarmente abile poteva tagliare un braccio o una gamba fracassati in meno di due minuti, e cauterizzare una ferita in pochi secondi.
I chirurghi provvedevano solo agli strumenti, e fino al 1804 portavano a bordo le proprie medicine. Naturalmente le cure erano gratuite, tranne nel caso di malattie veneree: in questo caso lo sfortunato marinaio veniva multato con il pagamento di 15 scellini (quest’uso però terminò con la fine delle guerre napoleoniche).
Quando un paziente era stato curato le possibilità che il suo ricovero terminasse con la guarigione erano scarse e fortemente condizionate dal livello della pulizia dell’area in cui veniva tenuto, dallo stato generale di igiene a bordo della nave e naturalmente dall’abilità del medico.
In quell’epoca l’importanza dell’igiene non era stata ancora completamente compresa e molti feriti morivano dopo essere stati curati a causa delle infezioni postoperatorie o per l’insorgenza della cancrena.
Al contrario alla fine del XVIII secolo le malattie tropicali e le altre minacce simili erano state capite relativamente a fondo e i medici erano chiamati a controllare che si facesse prevenzione in questo campo e insieme erano responsabili del contenimento delle epidemie. L’affollamento a bordo delle navi da guerra le rendeva particolarmente vulnerabili al diffondersi delle malattie, mentre una dieta poco nutriente, l’ambiente umido e malsano e le scarse misure igieniche contribuivano a ridurre la resistenza del marinaio medio alle infezioni.
Per fortuna, i miglioramenti nella formazione medica dei chirurghi, l’introduzione delle infermerie separate dal resto della camerata, il passaggio a un trattamento decisamente più umano dei marinai, una migliore comprensione generale dell’importanza della dieta e dell’igiene, nonché delle malattie stesse, contribuì a ridurre il tasso di mortalità nei primi decenni dell’Ottocento.
Così, quando la guerra finì nel 1815 la Royal Navy poteva contare su un gruppo di chirurghi ragionevolmente bravi ed addestrati, e le strutture di cui disponevano erano dello stesso livello se non migliori di quelle che c’erano sulla terraferma.
Mentre intorno al 1790 un marinaio su tre moriva di malattia, nel 1815 questa percentuale era precipitata a uno su undici (queste statistiche non comprendono i feriti che riuscirono a sopravvivere grazie alle cure prestate loro). Nel 1801, quando l’ammiraglio St.Vincent riportò in patria la Channel Fleet dalla missione di blocco di Brest, furono segnalati solo 16 casi di ricovero in tutta la flotta.